“Renzi dovrà temere i suoi”. Il dossier premonitore degli Usa
«Molti osservatori nel Nord suggeriscono che una delle più grandi sfide per Renzi saranno le divisioni all’interno del suo stesso partito politico». Il consolato di Milano invia questo giudizio al dipartimento di Stato il 20 febbraio del 2014, cioè alla vigilia dell’insediamento del nuovo esecutivo guidato dall’ex sindaco di Firenze. Leggerlo ora, alla luce della scissione appena consumata nel Pd, e dell’opposizione interna al referendum costituzionale di dicembre, colpisce per la capacità premonitrice.
La parte centrale del rapporto comincia con un titolo dubitativo: «Does He Have What It Takes?», cioè possiede le qualità necessarie a farcela? La risposta è incoraggiante solo a metà: «I contatti del Consolato ci hanno detto che sperano nel successo di Matteo Renzi, con la sua agenda per riformare l’Italia come nuovo primo ministro». Un conto però sono gli auguri formali, e scontati, e un altro i giudizi politici concreti: «Allo stesso tempo, molti credono che la maggioranza risicata di cui gode Renzi, gli interessi politici ed economici italiani profondamente trincerati, e la stessa inesperienza del capo del governo a livello nazionale, rendono scarse le sue possibilità di successo».
Oltre ai dubbi politici, ci sono anche quelli campanilistici: «A parte le preoccupazioni per la scarsa esperienza di Renzi, alcuni italiani del nord si lamentano anche per l’esiguità dei nomi settentrionali circolati come possibili ministri. Il giornale della Lega Nord, La Padania, ha strombazzato che il nuovo esecutivo sarebbe dominato da un asse fiorentino-romano».
Gli americani in realtà sono interessati alla riuscita del nuovo esperimento, per ragioni che toccano direttamente i loro interessi nazionali. Come si capisce da un altro rapporto, inviato il giorno successivo dall’ambasciata di Via Veneto al segretario di Stato Kerry: «Dopo otto trimestri consecutivi di declino – la più lunga recessione dalla Seconda Guerra Mondiale – la crescita economica italiana si è appiattita alla fine del 2013. La risalita dagli otto punti di percentuale persi durante quei due anni sarà lenta. Il settore delle esportazioni relativamente in salute potrebbe favorire un po’ di ripresa, ma quest’anno non ci si aspetta più di una espansione dello 0,7%. Il tasso di disoccupazione ufficiale del 12,6% continuerà probabilmente a crescere nel 2015, e potrebbe non tornare ai livelli pre crisi per almeno un decennio».
In queste condizioni Roma rischia di non essere più un alleato affidabile, tanto sul piano economico, quanto su quello del contributo che può dare alla sicurezza e alla stabilità dell’Europa e del mondo. Perciò l’ambasciata di via Veneto offre un suggerimento: «Il nuovo governo dovrebbe rimanere attento agli obblighi dell’Italia di ridurre il proprio debito ogni anno, a partire dal 2015, e potrebbe continuare la ricerca dell’esecutivo precedente per nuove entrate, attraverso un possibile nuovo round di privatizzazioni, un’ampia revisione delle spese dello Stato, e altre fonti. Sfortunatamente, il recente focus sull’austerità ha tolto forza alle riforme che potrebbero portare la crescita, e sopprime i consumi interni, aggravando così la recessione. L’incertezza politica ha anche frenato i progressi per risolvere le sfide di competitività di lungo termine che affliggono l’Italia. Questa mancanza di riforme, unita ai costi dell’energia e le tasse tra le più alte in Europa, allontanano gli investitori, che non sono disposti a correre così tanti rischi. Di conseguenza, la potenzialità di crescita italiana resta piatta nel lungo termine». Il governo Renzi però nasce, e Washington lo sostiene fino all’ultimo, cioè la visita alla Casa Bianca nell’ottobre scorso. Con l’Europa che traballa dopo la Brexit, e Trump che minaccia Hillary nelle presidenziali, Obama lo invita a restare in carica anche se perdesse il referendum. Ma alla fine le divisioni interne al partito prevalgono, come previsto.
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