Perle finte e involtini, istantanee su un secolo di cinesi a Milano

I primi cinesi arrivarono a Milano nel 1906 per l’Expo che era a due passi da via Canonica, la prima strada «cinese» di Milano insieme a via Sarpi, il centro dell’attuale Chinatown

alberto mattioli
MILANO

In principio furono le perle. False, ovviamente. Correva l’anno 1926 e le vendevano agli angoli delle strade, tenendone i fili infilati sulle braccia. Costo, invariabilmente, «trenta lire», fino a cento per gli esemplari più belli, quelli che sembravano meno falsi. Prezzi trattabili, naturalmente. Quanto a negoziati, al confronto dello shopping con gli orientali il congresso di Vienna è una chiacchierata fra amici.

 Così iniziò l’immigrazione cinese in Italia, raccontata da una bella mostra al Mudec, il Museo delle Culture di Milano (da oggi al 17 aprile), Chinamen – Un secolo di cinesi a Milano, a cura di Daniele Brigadoi Cologna. È uno dei rari casi in cui il catalogo è perfino più intrigante della mostra: si tratta infatti di una grafic novel di Ciaj Rocchi e Matteo Demonte, che hanno anche realizzato un documentario animato. Bellissimi l’uno e l’altro, quindi è per puro sadismo che segnaliamo un errore: quando Gian Galeazzo Ciano rientrò in Italia dopo essere stato console a Shanghai non fu per diventare ministro degli Esteri, ma capo dell’Ufficio stampa del suocero Duce (ministro lo sarebbe diventato in seguito, per sfortuna sua e nostra).

 

La storia

In realtà, i primi cinesi erano arrivati a Milano già nel 1906, in occasione dell’Esposizione universale, una kermesse dove fra le magnifiche sorti di un progresso modello Ballo Excelsior era rappresentato anche il Celeste impero con un padiglione dedicato a navigazione e pesca. Il Messaggero, il 20 agosto 1906, titolò così: «I cinesi all’Esposizione di Milano», e vabbé. È il sommario a dimostrare che l’immigrazione non è mai tutta rose e fiori: «Una strana forma di pericolo giallo – L’Europa inondata di pesce fritto?». Fra l’altro, questa storia dell’Expo giolittiana spiega anche perché i cinesi stiano dove tuttora stanno. Si svolgeva nella zona dell’Arena, a due passi da via Canonica diventata poi la prima strada «cinese» di Milano. I cinesi sono ancora lì, magari solo un po’ più su, in via Sarpi e dintorni. Del resto vengono tutti, allora come oggi, dalla stessa regione, lo Zhejiang.

 

E così siamo al ’26, quando i primi 51 venditori di perle arrivano dalla Francia all’Italia, passando ovviamente per Torino dove La Stampa titola già sull’«invasione». Inizia allora tutta una storia infinita di permessi, divieti, lamentele di ambulanti italiani per la concorrenza presunta sleale, rapporti di polizia, tasse da pagare o evase, scriventi uffici e Regie questure che, si può dire, ancora non è conclusa. Nel frattempo, le perle sono state sostituite dalla merceria. Qualche nonno ricorda ancora l’ambulante cinese che salmodia «una cravatta una lira».

 

Per il momento, l’immigrazione è solo maschile (la prima immigrata regolare, Anna Chen, arrivò soltanto nel ’60, e fu subito success story). Il primo matrimonio misto risale al 1934. Le fotografie dello studio Tollini di via Sarpi documentano queste coppie sino-milanesi, lui per la parte sino, lei per quella milanese, e le famiglie di una piccolissima borghesia dignitosa e già integrata. Sembrano tutti dei signori Brambilla, gli uomini con il fazzoletto nel taschino, le sciure col filo di perle (false?), i bambini con il fiocco della prima comunione.

 

La guerra è una tragedia anche per loro. L’Italia è alleata del Giappone che è nemico della Cina. Il 9 dicembre ’41, due giorni dopo Pearl Harbor, la Cina libera dichiara guerra al Regno. I cinesi diventano cittadini nemici e finiscono internati, in condizioni anche dure, nei campi di concentramento dell’Abruzzo. Nel secondo dopoguerra, i cinesi sono pochissimi fino all’inizio degli Anni 70. Ma il primo ristorante cinese di Milano, «La pagoda», apre il 3 ottobre 1962, presente l’ambasciatore della Cina nazionalista che per il momento è l’unica che l’Italia riconosca. Sul Corriere, Dino Buzzati racconta da par suo l’esotica esperienza di mangiare con le bacchette. Titolo del paginone: «Ti piace la marosta?».

 

Il resto non è più storia, ma cronaca. Il boom dell’immigrazione degli Anni 80 e 90 trasforma via Sarpi e dintorni in una delle Chinatown più compattamente cinesi d’Europa, anche con qualche problema di convivenza, su cui la mostra diplomaticamente sorvola, ma con un’integrazione nel complesso riuscita. I cinesi d’Italia erano 45 nel 1911: nel ’15, risultavano 271.330, quarto gruppo etnico e quinta generazione in Italia. Aspettando di sapere in che mani finirà il Milan, il pericolo giallo non era forse poi così minaccioso. In ogni caso, come dice l’assessore alla Cultura di Milano, Filippo Del Corno, l’obiettivo anche di questa mostra è che «la differenza delle culture generi la cultura della differenza».

LA STAMPA

 

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