Cinque manager in cinque anni Nessuno mai ha completato il piano
ROMA Un manager ogni tre anni, in media, negli ultimi 50 anni (o poco più) di storia. Uno all’anno negli ultimi cinque. Alitalia cambia «pilota» molto più spesso di quanto non mutino le sue livree. Un ritmo impressionante per un business, come quello aereo che, per struttura, necessita di strategie di lungo termine.
Eppure il valzer delle poltrone non si è mai fermato, almeno da quando Domenico Cempella, rimasto alla guida della compagnia per cinque anni, la lasciò nel 2001, dopo averla portata all’utile ma anche dopo aver fallito clamorosamente l’obiettivo di condurla alle nozze con l’olandese Klm. Il manager romano aveva capito sin dagli anni 90 che il futuro del trasporto aereo stava nelle alleanze. Che furono perseguite per tre anni anche dal suo successore Francesco Mengozzi, cui sfuggì, per l’opposizione della politica, il colpo grosso della fusione con il colosso Air France-Klm, dovendosi così accontentare di una solida alleanza decennale.
Nel frattempo però eventi straordinari, come l’attentato dell’11 Settembre 2001 e la guerra in Iraq, portarono Alitalia vicina al fallimento, nonostante la ricapitalizzazione realizzata nel 2002. Il manager passa la mano per qualche mese a Marco Zanichelli, fino all’arrivo di Giancarlo Cimoli, giunto alla Magliana con l’immeritata fama di risanatore delle Ferrovie e 6 milioni di buonuscita. L’obiettivo di portare Alitalia al pareggio non viene nemmeno sfiorato, anzi la gestione dell’ingegnere si distingue per sprechi di ogni genere che affioreranno nelle successive cause che riguarderanno anche la sua buonuscita, nel 2007, da 3 milioni.
Seguono mesi convulsi in cui si teme il fallimento. Prima il notaio Berardino Libonati, ma soprattutto Maurizio Prato cercano una via d’uscita tentando per l’ennesima volta la carta dell’alleanza con Air France-Klm. Ma la politica e i sindacati fanno saltare tutti i tavoli e così si arriva nel 2008 alla liquidazione della vecchia Alitalia e alla nascita del «piano Fenice». La compagnia assume il nome di Cai (Compagnia aerea italiana) e nel 2008 è chiamato a guidarla Rocco Sabelli. Saranno tre anni di grandi aspettative. Il manager compie un enorme lavoro di taglio dei costi, cercando di estromettere la politica dalla dispendiosa gestione dei contratti. Sabelli però sa di avere poco tempo a disposizione. Il suo piano è meticolosamente disegnato per funzionare a una sola condizione: la fusione con Air France-Klm, al termine dei tre anni. Ma ancora una volta la politica blocca il progetto e il manager lascia la compagnia al suo destino.
L’idea di affidare Alitalia a un esperto di marketing, come la meteora Andrea Ragnetti, per rilanciare la compagnia con una strategia tutta puntata sul prodotto, ha vita breve: neanche un anno. Cai ci prova per l’ultima volta nel 2013 mettendosi nelle mani del manager proveniente dalla Ducati, Gabriele Del Torchio, una persona mite che si ritrova a pilotare una compagnia percorsa da mille fibrillazioni tra i numerosi (e litigiosi) azionisti, ormai divisi su tutto.
Ancora una volta l’unica strategia possibile appare quella della fusione. Ormai Alitalia è una compagnia privata e la politica ha smesso da tempo di condizionarne la rotta. L’entrata in scena di Luca Cordero di Montezemolo propizia le nozze con l’emiratina Etihad. Nel cockpit viene fatto sedere Silvano Cassano ma la sua permanenza non durerà nemmeno un anno. Al breve interim dello stesso Montezemolo, segue l’arrivo nel marzo dell’anno scorso di Cramer Ball. Ma il turnaround non c’è e le perdite permangono. Serve un nuovo cambio. Ma soprattutto servirebbe avere una strategia e il coraggio di perseguirla fino in fondo.
CORRIERE.IT