Bruxelles non ci fa sconti. Il taglio delle tasse non ci sarà
A Bruxelles non sono piaciute le notizie riportate dai media italiani nelle ultime settimane, in particolare gli annunci arrivati da governo e maggioranza.
Impegni a tagliare le tasse, aumentare gl assegni familiari e altro. Roma – questo il ragionamento che prevale a Bruxelles – dovrebbe semmai impegnarsi a trovare i soldi per la manovra e poi per la legge di Bilancio 2018. La trattativa tra Roma e l’Unione europea, insomma, è entrata in una fase critica e a farne le spese potrebbe essere il taglio del cuneo fiscale, annunciato dal premier Paolo Gentiloni in persona. Lo stesso premier ieri ha assicurato che non si «rassegna ad un governo che tiri a campare» e ha annunciato misure per la povertà.
Nel Def che sarà presentato in aprile ci sarà solo un accenno al taglio del costo del lavoro. La misure, illustrata nel dettaglio in anticipazioni filtrate nei giorni scorsi, non faranno parte del documento. Non il taglio di cinque punti percentuali della differenza tra il costo di un lavoratore per un datore e la sua busta paga effettiva. In dubbio il taglio dei contributi, anche se è meno oneroso di un intervento generalizzato sull’Irpef. A rischio anche il riordino dei benefici fiscali per i figli con l’assegno universale.
La ragione è appunto la difficoltà a reperire le coperture. Il taglio del cuneo costa all’incirca 1,5 miliardi. Ma il complesso di misure per il 2018, tra clausole di salvaguardia da disinnescare e altre spese, ha portato la manovra della prossima legge di bilancio a quota 24/25 miliardi. E l’Europa vorrebbe che l’Italia si concentrasse sugli obiettivi concordati su deficit e debito.
È di ieri la notizia (riportata da Repubblica) di un irrigidimento del Consiglio europeo e della Commissione sulla manovra per il 2017. Sui 3,4 miliardi di euro di deficit da recuperare non ci sarà nessuno sconto. E su questo non ci sono novità. Le richieste all’Italia «restano valide», hanno confermato i portavoce della Commissione Ue. Nessuna accelerazione ha precisato il commissario agli affari economici Pierre Moscovici. «La tempistica è nota, anche lo sforzo richiesto è noto e stiamo discutendo in modo positivo e costruttivo. Non è il caso di allarmarsi ulteriormente». E, soprattutto, meglio non «provocare scontri che non sono necessari».
Più duro il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis che recentemente ha rilevato come «ci saranno probabilmente alcuni casi di non rispetto» del braccio preventivo del patto di stabilità nel 2016 e nel 2017». Se verranno confermati «bisognerebbe considerare seriamente l’apertura di una procedura». Riferimento nemmeno troppo velato all’Italia.
La novità è che nel braccio di ferro tra Consiglio europeo (cioè tra gli stati) e la Commissione, c’è chi sta mettendo in discussione lo 0,2% di Pil, quindi altri 3,4 miliardi, di flessibilità concessa nel 2016 all’Italia per gli investimenti. Soldi che non sono stati utilizzati in infrastrutture e che quindi qualcuno vorrebbe che restituissimo. Se succedesse, l’Italia dovrebbe trovare non più 3,4 miliardi, ma 6,8.
Trattativa in salita, quindi. Qualche segnale positivo arriva dalla trattativa sullo split payment, il pagamento anticipato dell’Iva da parte delle pubbliche amministrazioni che comprano beni e servizi da privati. La Commissione europea sarebbe disposta ad accettarla come copertura della manovra. Da sola la misura vale 900 milioni.
Strettamente connessa al reverse charge, stesso meccanismo ma applicato alle vendite tra private. Più difficile da fare passare, visto che l’Europa ha già bocciato la misura come copertura.
Un cenno all’Italia ieri anche in un documento del Fondo monetario internazionale in vista della riunione dei ministri economici e dei banchieri centrali del G20. Il livello dell’attività economica «resta significativamente sotto il potenziale» in varie economie tra cui «Francia, Italia e Corea» del Sud. Va molto meglio nelle altre economie avanzate. Compreso il Regno Unito alle prese con la Brexit.