Cosa pensa Matteo Renzi della sinistra in Italia e in Europa

di EUGENIO SCALFARI

SI AVVERA di tanto in tanto una rivolta popolare contro la classe dirigente. La rivolta si può anche chiamare rivoluzione oppure sono due fenomeni diversi? Domande come questa sono attualissime e riguardano il mondo intero, ma siamo in pochi a pensarle. I popoli che ne sono i protagonisti non le pensano, agiscono, mossi da uno scatenamento di rabbia profonda, dal desiderio di spazzare il terreno sociale, economico, istituzionale da tutto ciò che esiste. Ma ricostruiranno dove e come? Questa è una domanda a cui non rispondono. O meglio pensano che la risposta sulla costruzione di un nuovo modo di vivere insieme, di una nuova società, di nuove istituzioni, verrà dopo. Adesso dobbiamo distruggere e quando tutto l’esistente sarà travolto allora e soltanto allora ricostruiremo.

Questo sta accadendo e da poco. Direi da una dozzina d’anni, cioè dall’onda della crisi economica scoppiata in America e di lì arrivata in Europa in forme ancora più gravi. Una crisi però avvenuta in una società ormai globalizzata con le conseguenze che la globalizzazione comporta, prima fra tutte la mobilità di popoli interi che a prezzo dell’eventuale morte fuggono dal paese d’origine verso quelli più ricchi. La globalizzazione però non si limita a questo: è nata dalla tecnologia e a sua volta la esalta e la trasforma. Sono reciprocamente madre e figlia. Ecco perché la crisi è una delle maggiori a dimensioni appunto mondiali.

Ma l’Occidente ne è il più colpito perché è il più agiato e il più democratico. In tutto il mondo i pochi comandano i molti, la classe dirigente esiste dovunque, ma in Occidente i molti riescono ad influenzare l’atteggiamento dei pochi. La democrazia è comunque un’istituzione fragile. “Quando il popolo si desta / Dio si mette alla sua testa / la sua folgore gli dà”. Era una canzone del nostro Risorgimento ed era costruttiva. Il popolo era in quel caso un fenomeno numericamente ristretto e aveva un programma costruttivo non distruttivo. Voleva l’Italia unita e quindi una nuova classe dirigente. Non era una rivolta ma una rivoluzione, un’ideologia e una cultura nuove. E la società non era ancora globale.

La storia ci dà altri esempi di rivoluzioni. Quella più classica è la Rivoluzione francese che aveva alle spalle la cultura di Diderot e di Voltaire. Non a caso si scrive con la lettera maiuscola fino al Terrore di Robespierre. Lì diventa rivolta e finisce nella dittatura del Direttorio e poi con quella militare oltreché politica di Napoleone.

Non so come finirà oggi. Le dittature sono più rare nella società globale. Quella attuale è una rivolta popolare contro alcuni esempi di dittature in Russia, soprattutto nella Turchia di Erdogan e perfino contro alcuni aspetti della presidenza di Donald Trump. In Europa non ci sono dittature ma ci sono gruppi di populisti che si stanno rafforzando e che in Olanda sono stati sconfitti dalla destra democratica e non a caso le riposte economiche sono state positive a cominciare dalle Borse in tutto il mondo, Italia compresa. Ma che accadrà nel nostro Paese quando l’effetto olandese sarà finito? La dittatura da noi non sembra possa instaurarsi ma la rivoluzione popolare si sta saldando con quella populista dei Grillo e dei Salvini. La sinistra è democratica ma fragile. Per fortuna non mancano i cavalli di razza come definiva i suoi la Dc. Vediamo ora chi sono, centrodestra moderato compreso.

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Per dovuta gentilezza indico anzitutto due donne: Laura Boldrini ed Elena Cattaneo e poi Veltroni che dieci anni fa fondò il Partito democratico al Lingotto, Enrico Letta, Gentiloni, Renzi, Prodi, Minniti e poi Zanda, Orlando ed Emiliano, Franceschini, Padoan, Zagrebelsky, Bersani, Parisi. Probabilmente ne dimentico alcuni, ma questi nomi comunque danno un quadro abbastanza completo della classe dirigente del nostro Paese. La divisione dei poteri limita con la propria esistenza il potere della classe politica. Il garante di questa divisione di poteri e del rispetto delle norme costituzionali è innanzitutto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella le cui prerogative costituiscono l’importanza della sua presenza, alle quali si aggiunge la possibilità di mediazione più o meno pubblica, di arbitraggio e suggerimento alle forze di governo.

Infine, per completare, c’è un italiano che opera sul piano economico europeo meritando per come pensa ed agisce il primo posto ed è Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea che ha come base operativa i 19 Paesi che hanno accettato la moneta comune.

In questo momento di crisi economica e sociale Draghi, appoggiato da una larga maggioranza del Consiglio di amministrazione della Bce, nonostante la costante opposizione della Bundesbank tedesca che gli vota quasi sempre contro senza però impedirgli di andare avanti con la sua politica monetaria, ha nelle sue mani una politica economica della quale la moneta è soltanto uno strumento. La Germania con il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble e il capitalismo tedesco rivolto principalmente verso le esportazioni cerca e ottiene l’appoggio di Angela Merkel. La cancelliera ha allo stesso tempo una linea “double face” nei confronti di Draghi. Si destreggia tra tutte e due le diverse visioni economico-sociali in vista delle elezioni che avverranno tra pochi mesi in un Paese che è uno dei pilastri dell’Europa e che ondeggia tra politica di rigore e politica di crescita dando tuttavia la prevalenza alla prima sulla seconda. Ma Draghi comunque non indietreggia dalla sua visione monetariamente espansiva che punta su una serie di riforme: maggiore produttività, minore depressione e una politica fiscale antidepressiva che viene praticata sui Paesi più deboli dell’Eurozona, a cominciare dall’Italia. Ma l’Italia adesso che cos’è? E che cos’è adesso la sinistra italiana?

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Ne ho parlato nei giorni scorsi con Matteo Renzi e l’ho trovato molto cambiato da come avevo interpretato allora la sua politica. Abbiamo parlato sia dell’Europa sia della società globale sia dell’Italia e della sinistra italiana ed anche del governo Gentiloni che rappresenta soprattutto il Partito democratico chiamato renziano dopo la scissione di Bersani e dei suoi compagni di strada.

Ormai Renzi ha scartato l’ideale iniziale di accelerare sia le primarie sia il Congresso per chiedere poi lo scioglimento anticipato delle Camere e le elezioni ad aprile o a giugno o perfino ad ottobre, ora ha cambiato idea: farà il suo lavoro fino al 2018 a legislatura automaticamente terminata. Lui nel frattempo penserà a riformare il partito soprattutto nella sua struttura territoriale della quale non si era mai occupato. Questo compito lo assorbirà totalmente. Nel frattempo studierà e che cosa? La struttura territoriale e culturale del nostro Paese nelle sue varie espressioni. Mi ha anche detto di aver letto i libri che in precedenti occasioni gli avevo suggerito: quelli su Cavour, e quelli di Giustino Fortunato, di Salvemini, di Antonio Labriola. Lui ne ha letti alcuni e li leggerà tutti ed altri ancora. Gli ho suggerito anche alcune pagine della storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis che parlano dei valori e degli ideali politici a cominciare da Machiavelli e da Giambattista Vico. Forse voleva accaparrarsi la mia simpatia e gliel’ho detto, ma lui ha risposto che quando ci parleremo di nuovo mi farà un resoconto dei libri letti come prova che non mi stava prendendo in giro (riferisco perché merita di esser riferito).

Sulla sinistra ha detto che persegue in tempi cambiati quella impostata da Veltroni al Lingotto di oltre dieci anni fa: un partito riformatore e soprattutto (cosa che ai tempi di Veltroni non era ancora dell’importanza attuale) europeista. Il Pd deve principalmente operare in Europa e nell’Eurozona. Apprezza molto la politica di Draghi con il quale ha frequenti contatti da quando era presidente del Consiglio.

La sinistra del Pd deve battere su vari tasti: deve insistere sulla creazione del ministro delle Finanze unico per l’Eurozona; si deve impegnare nell’accoglienza dell’immigrazione e deve portare avanti in Italia e in Europa il suo contenimento nei paesi di origine con le politiche necessarie. Infine una nuova proposta: i paesi europei votino sulla base di un’unica legge elettorale chi deve essere il presidente della Commissione europea che è il vero potere di governo della Ue. Sarebbe un passo avanti verso il rafforzamento dell’Unione.

Questa è stata la sostanza della nostra conversazione. La mia domanda finale è stata se spera, nel caso di una vittoria alle elezioni del 2018, di diventare di nuovo presidente del Consiglio. La risposta è stata: “Certamente desidero vincere ma non è detto che voglia ridiventare presidente del Consiglio.

Forse sarebbe meglio che restassi alla guida del partito e della sinistra in Italia e soprattutto in Europa. Vedrò”.

Ci siamo salutati con la parola Ventotene, sia per la scuola dedicata ai giovani sul Manifesto di Spinelli sia per gli ideali europeisti da realizzare.

REP.IT

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