Chiara Appendino: “Gentiloni ci restituisca 61 milioni. Torino modello di governo”
L’ufficio al primo piano del Comune di Torino è buio, un po’ per la giornata e un po’ per i conti del Comune. Chiara Appendino, la sindaca, ha abbandonato per un giorno l’aplomb sabaudo per scegliere la via della guerra. Al governo. Il primo atto formale legato al nuovo bilancio è di aprire un contenzioso con Palazzo Chigi. La sua giunta ha appena preso la decisione di chiedere indietro 61 milioni di euro previsti dal Fondo perequativo Imu-Ici e assegnati a Torino da due sentenze, una del Tar, l’altra del Consiglio di Stato. Ora di fatto dal Comune di Torino parte un atto ingiuntivo destinato al governo.
«È inaccettabile che un Comune si debba sobbarcare l’incapacità di un governo di garantire risorse che sono dovute e confermate da due sentenze. I Comuni sono i primi enti che erogano servizi essenziali e se i soldi non arrivano vuol dire fare tagli. Mi aspetto che tutto il territorio si unisca a noi in questa battaglia che è una battaglia per la dignità di Torino».
Le sentenze di cui parla sono nel cassetto dal 2015, perché Torino non ha fatto questo passo prima? Perché Lecce incasserà i soldi prima di voi?
«Questa strada che intraprendiamo è un segnale politico nell’interesse di Torino e se non adempiranno spontaneamente all’esito del giudizio di ottemperanza, sarà possibile chiedere al Consiglio di Stato di nominare un commissario ad acta che provvederà ad eseguire la decisione del giudice. Mi auguro che non si debba arrivare a tanto».
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Ma in campagna elettorale Maria Elena Boschi aveva minacciato i torinesi di perdere finanziamenti se avesse vinto Appendino?
«Mi aspetto i soldi che sono dovuti e mi attendo che tutti coloro che hanno a cuore la nostra città ci appoggino in questa battaglia, altrimenti saremo costretti a pensare che nei confronti di Torino c’è un atteggiamento diverso perché è governata dai Cinquestelle».
Oltre all’ingiunzione al governo come vi smarcate dal passato con questo bilancio?
«Non utilizziamo avanzo perché sono risorse che non esistono e sono solo un meccanismo contabile. Abbiamo fatto la scelta, anche alla luce dell’istruttoria della Corte dei Conti, di stanziare un fondo a copertura dei derivati. Abbiamo avviato un percorso virtuoso per incidere sulla capacità di riscuotere le entrate per far fronte alla grave crisi di liquidità dell’ente. Il bilancio è stato un lavoro di mesi molto impegnativo. La situazione è molto complessa a cominciare proprio dai problemi di cassa».
Anche per questo non avete rinunciato agli oneri di urbanizzazione che sembravano il vostro principale nemico in campagna elettorale?
«È stata una scelta necessaria, ma risponde a esigenze primarie per la città come la manutenzione delle scuole, delle strade, dei ponti e delle aree verdi. Avessimo avuto le entrate delle amministrazioni passate lo avremmo evitato ma quando si amministra bisogna avere il coraggio di fare scelte anche dolorose, mettendo da parte l’ideologia per garantire servizi essenziali ai cittadini».
Dall’opposizione al governo è un bel salto allora?
«Le difficoltà e lo stato dei conti li abbiamo imparati sulla nostra pelle. Fare il sindaco è un‘esperienza incredibile. Non cerco il consenso e l’ho dimostrato con battaglie come malasosta e i provvedimenti anti-smog, non so se altri le avrebbero fatte. Però chi mi ha preceduto conosceva le difficoltà che abbiamo ora, a cominciare dalla crisi di liquidità. Ecco rinfaccio loro di non aver affrontato la questione, non per aiutare me ma per il bene di Torino».
E lei a cosa guarda quando fa le sue scelte?
«Io mi sento libera e ho una giunta che mi supporta nel fare scelte che guardano al medio periodo. Bisogna mettere i conti in sicurezza, Torino paga 250 milioni l’anno di spesa per debiti fatti in passato. Lavoro affinché chi arrivi dopo di me erediti una situazione migliore, io non cerco il consenso, voglio mettere le cose a posto per le generazioni future».
Chi arriverà dopo di me? Già pensa a lasciare?
«Assolutamente no. Ma il primo dovere di un amministratore, a prescindere da qualunque carriera voglia fare, è dedicarsi alla sua città».
Cercare il consenso può aiutare a fare carriera?
«Io gestisco Torino in libertà e senza vincoli. Sono un amministratore pubblico che risponde ai torinesi. Il consenso non mi interessa, Torino viene prima di tutto».
La sua Torino può essere un modello di governo?
«Credo di sì. E credo che il nostro punto di forza sia stato individuare gran parte della squadra prima del voto e poi il senso di responsabilità nei confronti della città e del ruolo».
Ma perché voi siete diversi?
«Abbiamo una grande forza: essere molto compatti come giunta, come consiglio e come maggioranza. Gli assessori lavorano insieme ma nessuno di loro rappresenta categorie o interessi particolari. Anche quando si fanno scelte difficili sono collegiali. Spesso la contrapposizione tra interessi particolari e tra poteri può portare all’immobilismo».
Come accade a Roma?
«Roma non la conosco così bene. Con Virginia Raggi ho un ottimo rapporto e ci confrontiamo spesso. Lei è stata brava a chiudere presto il bilancio mentre noi abbiamo avuto grandi difficoltà. Lei ha avuto problemi all’inizio, ma è molto determinata e ha una forza enorme che la aiuterà anche a rimediare a quello che ha sbagliato. Ogni amministratore deve mettersi in discussione ogni giorno e se io mi dicessi che ho fatto tutto bene sbaglierei. Credo che Virginia faccia lo stesso».
Libertà e autonomia sono quindi il segreto del vostro successo, come la distanza dai vertici nazionali del movimento?
«No, non è così, Fraccaro e Casaleggio sono un supporto chiave. Non sono mai invadenti. Ci aiutano nelle singole battaglie. A Torino c’è un buon mix tra la spinta del territorio e l’aiuto nazionale. È chiaro che il sindaco risponde al territorio e ai cittadini e con loro ci mette la faccia».
Non sente il peso di essere una bandiera del Movimento, la potenziale candidata a premier?
«Mi sento tre grandi responsabilità. La prima è di far parte del Movimento Cinque stelle e quindi dimostrare che siamo capaci di governare. Vede, ad altri nessuno lo chiede ma a noi sì. E poi c’è il fatto che sono giovane e che sono donna. Non è un peso ma l’opportunità di dire a tutti che c’è una generazione, che c’è un genere e che c’è una forza politica nuova in grado di governare il Paese».
Ma la responsabilità di governare prende in considerazione anche l’ipotesi di alleanze più larghe per il movimento?
«Bisogna capire cosa si intende. In Città metropolitana non abbiamo la maggioranza e votiamo a volte con il centrodestra altre con il centrosinistra. Alleanze no ma lavorare su alcuni punti per rappresentare la collettività sì».
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