Legge elettorale, il piano B di Renzi: votare con i due sistemi in vigore
Continuare la battaglia sul Mattarellum fino all’ultimo, per poter dire all’opinione pubblica, dinanzi alla bocciatura del voto, «ora è evidente chi non vuole la legge elettorale». Avendo in realtà già in mente il piano B: tenersi strette le due leggi uscite dalle sentenze della Consulta, al massimo estendendo quella della Camera anche al Senato. Mentre Matteo Renzi ultima il suo libro («farà molto rumore») e si dedica alla campagna congressuale (oggi, quando il suo successore a Palazzo Chigi, Gentiloni, siederà accanto alla Merkel e Hollande, lui sarà coi militanti Pd del modenese), i suoi sherpa continuano a ragionare di legge elettorale.
«Io adesso mi occupo di congresso. Di sistema di voto se ne riparla dopo il 30 aprile», ha ripetuto spesso in queste ore ai collaboratori, rinviando a dopo le primarie ogni discussione. Interrogato sull’argomento dal Corriere della Sera, però, ieri ha insistito che «i numeri per il Mattarellum con il Pd, la Lega e altri ci sono», nonostante tre giorni fa, in Commissione affari costituzionali a Montecitorio, Fi e gli alleati centristi di Alfano abbiano messo agli atti la loro contrarietà.
«Alla Camera abbiamo i numeri, al Senato no», sintetizza chi, tra i renziani, sta lavorando alla questione. Una constatazione di realtà che non porta a cambiare strategia: andiamo avanti col Mattarellum – la posizione nell’entourage dell’ex premier – provando eventualmente a «correggerlo» rivedendo le quote di proporzionale e maggioritario. Se nemmeno questo basterà, ragionano, facciamolo approvare ai deputati, e poi portiamolo a Palazzo Madama. A quel punto la bocciatura è certa, ma anche la possibilità di scaricare sugli altri la responsabilità di non aver cambiato la legge.
Ottenendo in questo modo il massimo risultato possibile: perché, sotto sotto, al Pd di Renzi mantenere le due leggi uscite dal taglia e cuci della Corte Costituzionale non dispiacerebbe. In quella della Camera resta comunque il premio di maggioranza per chi raggiunge il 40 per cento. Un obiettivo molto alto, si direbbe irraggiungibile per i dem oggi, eppure l’ex segretario ricandidato ci crede: «In passato ci è capitato, chissà che non ricapiti in futuro». Tanto che resta viva l’ipotesi tra i renziani di applicare anche a Palazzo Madama la legge della Camera: lo ha detto esplicitamente in un’intervista ieri il ministro Maurizio Martina, che con Renzi corre in ticket, attirando le critiche di vari compagni di partito, sostenitori di Orlando al congresso. Ma, insistono renziani di rango, la Direzione del Pd diede l’ok all’Italicum prima, e al Mattarellum poi: solo quelle possono essere le proposte dem.
Se non ci si riuscisse, però, dal punto di vista di Renzi non sarebbe un dramma: anche il Porcellum stagliuzzato dalla Corte, in vigore al Senato, andrebbe bene. Non prevede premio di maggioranza, è vero, ma un implicito effetto maggioritario è provocato da soglie di sbarramento alte, all’8 per cento. Un’asticella difficile da superare per i piccoli partiti, a cominciare dagli odiati ex amici di Mdp, gli scissionisti di Bersani e D’Alema. Nel mirino del Pd renziano ci sono loro, e si capisce da prese di posizione pubbliche e private: il no assoluto al premio alla coalizione, informalmente ribadito da molti, ma anche la chiusura a un rapporto con loro pronunciata ieri da Martina: «Con Mdp non vedo dialogo possibile».
Mantenere le due leggi così come sono, tra l’altro, avrebbe il non trascurabile vantaggio di portare in qualunque momento alle urne. Perché ora Renzi è concentrato sul congresso. Ma dal 1° maggio, a primarie finite, già rischia di aprirsi un’altra campagna elettorale.
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