Ora la Ue deve sbrigarsi: diventi uno Stato o tutto crolla
di EUGENIO SCALFARI
NELLA mia documentazione dei rapporti tra l’Italia e l’Europa ho trovato due discorsi che Alcide De Gasperi pronunciò. Uno è del 1947 ed era una sorta di resa dei conti d’un Paese sconfitto dalla guerra terminata da due anni. Italia mussoliniana sconfitta, ma quella nata l’8 settembre del ’43, che aveva sostenuto e solidarizzato con la Resistenza, era stata di aiuto alle Armate americane e inglesi che operavano sul nostro territorio liberandolo dal governo fascista e nazista che ancora aveva in mano metà dell’Italia. Nel suo discorso del ’47 De Gasperi ricordava queste vicende e i governi antifascisti che si erano succeduti a Roma ed avevano realizzato la Repubblica e la nuova Costituzione repubblicana. Sette anni dopo lo stesso De Gasperi pronunciò un discorso molto più attuale del precedente nel quale era contenuto un vero e proprio programma che portasse l’Europa ad uno stadio di Stato federale, ferma restando la propria individualità di ciascuna Nazione. Quel discorso fu pronunciato insieme ad altri due interventi che confermavano lo stesso programma da parte dei due leader di Francia, Schuman, e di Germania, Adenauer.
Quella fu la piattaforma dalla quale nacquero i Trattati di Roma che istituirono la Cee (Comunità economica europea). Le firme furono poche e alcune semplicemente formali: Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo.
Sei Stati in tutto ma poi gradualmente arrivarono a 28 (oggi diminuiti a 27 per l’uscita dell’Inghilterra che tuttavia sarà probabilmente rimpiazzata dalla Scozia).
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Faccio qui due osservazioni storiche che mi sembrano molto importanti perché contengono una grave contraddizione: 1. L’Europa è stata il Continente nel quale è nata la civiltà occidentale, poi esportata, dopo la scoperta dell’America nel 1492, in tutto il mondo occidentale: nelle Americhe, da quella del Nord a quella centrale e a quella meridionale; e poi in una parte dell’Africa, in Australia, in Giappone, nelle Filippine, nella Malesia e in parte nell’Indonesia.
2. All’interno dell’Europa le guerre tra gli Stati membri del Continente hanno infuriato per più di un millennio, prima tra popoli migranti, Goti, Visigoti, Unni, Franchi, Longobardi e infine da Carlo Magno in poi tra singole nazioni e soprattutto tra Francia, Spagna, Inghilterra, Austria, Portogallo, Prussia, Svezia, Russia. Sono sorti imperi contrapposti: quello spagnolo, quello portoghese, quello inglese. Alcuni hanno avuto colonie e protettorati in tutto il mondo: così la Spagna in Sud America, così l’Inghilterra in Africa, in Egitto, in Arabia, in Canada, in America del Nord fino alla guerra di Indipendenza, in Australia, in India. E così la Germania che dai tempi di Bismarck dominò una parte dell’Africa centrale ma soprattutto unificò tutta l’Europa del centro e dell’Est ed infine scatenò una catena di guerre soprattutto con la Francia, che sconfisse duramente nel 1870. Passata la “belle époque”, sempre la Germania scatenò due guerre mondiali che perse entrambe gravissimamente: quella del 1914 e quella del 1939. Da quella sconfitta totale, durante la quale avvenne la “Shoah”, la spaventosa carneficina di milioni di ebrei, zingari, bambini, una strage storica durante la quale i cristiani arrivarono a dire che Dio non aveva impedito quell’orrore perché, avendolo vaticinato e previsto, si ritirò dietro le nuvole per non vederlo non essendo riuscito ad arginarlo; da quella sconfitta, dicevamo, è nata l’idea di metter fine ad ogni guerra intereuropea e quindi l’idea di costruire un Continente unito e pacificato: l’Europa federata, uno Stato che avrebbe unito quel Continente che ha generato la civiltà occidentale mentre era dilaniato da guerre intestine da oltre un millennio. E di qui nasce il progetto di un’Europa senza più guerre interne e promosso ad uno Stato federato che – qualora si riuscisse ad edificare – sarebbe tra i più ricchi, i più civili ed i più potenti del mondo, ma che procede in questo progetto con estrema lentezza e difficoltà.
Va infine aggiunto, per quanto ci riguarda come italiani, che nel millennio di guerre che ci sta alle spalle noi siamo stati sempre vittime e mai protagonisti per il semplice fatto che l’Italia non è esistita come Nazione. È rimasta dispensatrice di cultura, di letteratura, di poesia, di musica, di costume, ma priva di personalità politica e soggetta a quelle altrui. Certo siamo stati fin dall’inizio la sede centrale del cristianesimo, del Vaticano, del Papato, insomma del potere religioso, intriso fin dall’inizio d’una versione temporale che lo spinse addirittura a subire e combattere materialmente e spiritualmente guerre guerreggiate. Ma questo è un fatto del tutto particolare anche se di estrema importanza.
Forse sarà un caso che proprio in questi ultimi quattro anni un Papa di origine italiana ma di nazionalità argentina siede a Roma sul seggio di San Pietro e predica pace, misericordia, accoglienza ai poveri e ai derelitti, crede nel dio unico per tutti i viventi, spinge verso la fratellanza con un’attenzione particolare all’Europa, terra che fu religiosamente cristianizzata, quando gli dei olimpici uscirono dalla tradizione greco-romana e l’Europa rimasta per dei secoli priva d’una qualsiasi religione abbracciò quella che era la sola capace di parlare all’anima delle persone ed illuminarle.
L’altro ieri ho ripubblicato un articolo che avevo scritto nel novembre del 1957, a proposito della Cee, che nelle intenzioni di chi l’aveva fondata avrebbe dovuto essere l’inizio concreto dell’Europa, anzitutto confederata e poi finalmente federata. Purtroppo le promesse non avevano dato alcun risultato concreto, ma soltanto qualche progresso formale e non sostanziale.
Sono passati sessant’anni da allora e non si tratta più di prevedere ma di concreta realtà. Tra l’altro si è creata una società globale che con le nuove tecnologie abbraccia il mondo intero: l’Europa deve ormai assumere dimensioni continentali per avere un peso nella globalità e ricavarne i vantaggi non solo tecnologici ma anche economici che quel tipo di società comporta. Purtroppo l’Europa non è riuscita a rendersi conto che questa è la dimensione necessaria non solo per godere della globalità ma per non esserne stritolati per la propria incapacità.
Sarà forse per questa ragione che i capi degli Stati confederati europei, che sono 27 dopo il Brexit inglese, si sono riuniti ieri a Roma per celebrare e rilanciare quel progetto che ha certamente realizzato avanzamenti notevoli e definitivi ma anche alcuni arretramenti dovuti a cause che qui indico con breve elencazione: Primo: la nascita appunto della società globale che affrontiamo utilmente con la libertà che ci consente nel libero movimento dei capitali, nelle crescenti dislocazioni delle imprese, il libero confronto delle varie monete e la nascita di ceti medi, prima del tutto inesistenti in paesi come la Cina, l’Africa, o la montagna di isole sparse nell’Oceano indiano e nel Pacifico centrale.
Secondo: la posizione insistente delle migrazioni verso l’Europa, da Est, Sud Est, Sud mediterraneo.
Terzo: la nascita di movimenti e partiti populisti, antieuropei e anti-euro, le cui dimensioni sono favorite dall’arrivo di Donald Trump alla presidenza degli Usa.
Quarto: la guerra in Siria, la guerra connessa dell’Isis non solo attorno alle sue capitali di Mosul e di Raqqa, ma in tutto il mondo, dagli Usa fino (e soprattutto) nella periferia d’Europa come radicalizzazione e nei centri urbani come risultato.
Questi malanni hanno avuto in Europa effetti estremamente negativi accrescendo la rivalità tra vari paesi, erigendo confini materiali oltre che politici tra i vari paesi e soprattutto tra quelli che non sono entrati e non fanno parte della moneta comune.
Per bloccare e possibilmente invertire questa situazione i 27 paesi d’Europa non si sono limitati, come di solito hanno fatto negli anni scorsi, ad una veloce celebrazione con un paio di discorsi commemorativi e una dozzina di strette di mano tra il Campidoglio e il Quirinale. No, questa volta no. Hanno prodotto un documento firmato da tutti i 27 paesi e che contiene affermazioni e impegni di notevole importanza se puntualmente fossero rispettati con la dovuta velocità. Ne cito alcuni.
“L’Unione europea è confrontata a sfide senza precedenti, sia a livello mondiale che al suo interno: conflitti regionali, terrorismo, pressioni migratorie crescenti. Renderemo l’Unione europea più forte e più resistente, attraverso l’unità e una solidarietà ancora maggiori tra di noi e nel rispetto di regole comuni. L’unità è sia una necessità che una nostra libera scelta. Agendo singolarmente saremmo tagliati fuori dalle dinamiche mondiali. Restare uniti è la migliore opportunità che abbiamo di influenzarle e di difendere i nostri interessi e valori comuni. Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione.
Un’Europa sociale, un’Unione che, sulla base di una crescita sostenibile, favorisca il progresso economico e sociale nonché la coesione e la convergenza. Un’Unione che tenga conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo fondamentale delle parti sociali; che promuova la parità di donne e uomini e diritti e pari opportunità per tutti e che lotti contro la disoccupazione, la discriminazione, l’esclusione sociale e la povertà e dove i giovani ricevano l’istruzione e la formazione migliori e possano studiare e trovare un lavoro in tutto il continente.
Un’Unione impegnata a rafforzare la propria sicurezza e difesa comuni.
Noi leader, lavorando insieme nell’ambito del Consiglio europeo e tra le istituzione, faremo sì che il programma di oggi sia attuato e divenga così la realtà di domani. L’Europa è il nostro futuro comune”.
Ciò detto, debbo notare con totale soddisfazione che il corteo antieuropeo che doveva svolgersi a Roma nel primo pomeriggio di ieri e contava di radunare circa ventimila persone ne ha radunate molte di meno.
Nel frattempo papa Francesco a Milano, in tutti i siti della città, nelle sue periferie e nella messa celebrata nel parco di Monza, è stato festeggiato da centinaia di migliaia di persone. Lo aspettavano nella piazza del Duomo, a San Vittore, erano assiepati nelle strade che percorreva. I milanesi hanno ascoltato e condiviso la predicazione che il Papa ha diffuso in ogni modo: l’accoglienza, la misericordia, l’aiuto ai poveri e agli esclusi, il perdono. Francesco è il più moderno, il più rivoluzionario, il più convinto della fede e della sua modernità. Io, non credente, lo ripeto spesso. È anche molto interessato all’unità dell’Europa, la vuole anche lui e lo disse
apertamente parlando al Parlamento di Bruxelles. A me nell’ultima telefonata che abbiamo avuto una ventina di giorni fa parlando della celebrazione di oggi sui Trattati di Roma, ha detto: “Sbrigatevi, per l’Europa il tempo stringe”.
È esattamente così.
REP.IT