Il pressing di Matteo Renzi sul premier. Obiettivo: sconto da dieci miliardi

alessandro barbera, fabio martini

Oramai ci siamo. Le prime, vere Forche Caudine del governo Gentiloni si stanno avvicinando: mancano due settimane alla presentazione in Parlamento del Documento di economia e finanza, che prefigurerà la mega-manovra autunnale per il 2018, e il presidente del Consiglio ha cominciato a calare le sue carte. E lo ha fatto, tenendo conto del pressing di colui che quasi certamente sarà confermato segretario del Pd: Matteo Renzi e che in vista delle elezioni del 2018 non vuole mettere la “faccia” su misure impopolari. Parlando ai presidenti delle Regioni, Paolo Gentiloni ha detto: «Ci sono norme e vincoli europei che non dobbiamo dare per intoccabili, c’è un margine di negoziato. Certamente da qui all’autunno la discussione con Bruxelles sarà aperta e potrà produrre risultati, sapendo che da un lato dobbiamo mantenere gli equilibri, dall’altro dobbiamo ottenere una cornice europea più realistica».

 Lessico gentiloniano, ma sostanza “renziana”: cara Bruxelles ci prepariamo ad un lungo e duro negoziato per strappare nuova e necessaria flessibilità. A Bruxelles la discussione è aperta, e non da oggi, ma il governo italiano – questa ò l’nconfessabile scommessa – immagina che un vero scongelamento della “dottrina” dell’austerity sia destinato a concretizzarsi nel caso in cui le elezioni in Francia e Germania dovessero confermare la leadership delle forze europeiste. A quel punto – concordano in via informale Gentiloni, Padoan e Renzi – sono destinati ad aprirsi margini, di entità al momento imponderabile, ma tali da consentire una manovra che non strozzi in culla i primi sintomi di ripresina italiana.

 

Ecco perché Gentiloni proietta il “redde rationem” all’autunno, ben sapendo però che prima di allora si preparano passaggi molto delicati. Arrivare all’autunno – confidano a palazzo Chigi – non sarà una passeggiata di salute. Ma invece una “via crucis” in tre stazioni di passione. Il primo passaggio è quello del Def (10 aprile). Il secondo è la correzione di bilancio da 3,4 miliardi (in realtà un miliardo sarà scomputato per il terremoto), da “calare” dopo Pasqua e il terzo è la preparazione della manovra per il 2018, la cui entità è ancora tutta da determinare. Passaggi sui quali Matteo Renzi, dopo i primi congressi di Circolo del Pd, sentendosi di nuovo l’azionista di maggioranza del governo, ha chiesto una correzione di bilancio senza aumenti di imposte dirette o indirette, anche perché – ha avvisato l’ex premier – la “manovrina” dovrà essere presentata in Parlamento attorno al 20 aprile e una decina di giorni prima delle Primarie del Pd è “vietato” rendere malmostosi gli elettori. Ma prima ancora della “manovrina” arriverà il Def, sul quale Renzi ha chiesto garanzie precise: si può arrivare a fine legislatura – ha spiegato – «se eviteremo di parlarci addosso» e «sarebbe un errore politico aumentare l’Iva».

 

Ecco perché, dopo il pressing renziano, nel Def dovrebbe restare fuori il rialzo dell’Iva nel 2018 e invece compreso un quasi obbligo di fatturazione elettronica, misura destinata a rendere plastica – e subito esigibile – l’azione anti-evasione del governo. E soprattutto dovrebbe essere previsto un deficit nominale all’1,8%, dunque più alto rispetto all’1,2% già promesso a Bruxelles con le tabelle dello scorso anno, ma comunque di nuovo in calo rispetto all’attuale 2,2%. Un marchingegno capace di recuperare circa 10 miliardi di flessibilità che però la Commissione concederà solo in cambio di impegni precisi sulle riforme: il via libera alla legge sulla Concorrenza, nuove privatizzazioni, maggiore impegno sul fronte produttività. Se si evitasse in autunno una legge di Bilancio troppo pesante, potrebbe sfumare la tentazione di elezioni anticipate in giugno o in settembre: in pubblico Renzi continua a traguardare la legislatura alla scadenza naturale e in privato confida che «sarà molto difficile andare ad elezioni anticipate», soprattutto per la volontà del Capo dello Stato, contrario a pericolosi “vuoti d’aria”. L’unica incognita che Renzi contempla non riguarda il Pd: «Certo, davanti ad un serio incidente parlamentare provocato da altri…».

LA STAMPA

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