Alatri, la rabbia del fratello di Emanuele: “Solo uno l’ha difeso. Assurdo che nessuno parli”

CASETTE DI TECCHIENA (Frosinone) . “Capisce il mio dolore?”. Francesco Morganti è il fratello grande, di dieci anni più grande, di Emanuele. È sotto la veranda della villetta – granata e con i coppi a tetto – dove Emanuele viveva con la mamma, fino a venerdì notte. Sono cresciuti qui, nella via del Convento che si perde nella campagna, tutti e cinque, padre cacciatore, madre spesso a casa, due fratelli, una sorella. Francesco s’avvicina al cancello vestito da lavoro, i capelli, diradati, sono pettinati all’insù: “Hanno portato via un angelo senza un motivo e se esiste una giustizia divina Gesù Cristo deve saperlo”. Ha gli occhi, Francesco, di chi piange da tre giorni. Al suo fianco la fidanzata. Gli dà la forza di parlare, rispondere.

Cosa ha capito di quella notte al Miro Music Club, Francesco?
“Emanuele era lì con la fidanzata, al bancone del bar. L’hanno provocato, spinto, e poi fuori l’hanno massacrato. I dettagli non li posso conoscere, ho sentito cento versioni, non voglio aggiungere la mia. Credo nella giustizia su questa terra, e non è una frase fatta”.

Emanuele è stato attaccato da dieci, forse venti persone. Buttato a terra, preso a calci.
“Poi l’hanno finito con una sprangata alla testa: non è stata una rissa, è stata un’esecuzione. Alla fine gli hanno anche sputato addosso”.

Ecco, perché tanta violenza? Perché questa esplosione di rabbia? Non la comprendono neppure gli inquirenti, nessuno ancora l’ha spiegata.
“Si spiega solo in un modo: cattiveria gratuita. Non c’è bisogno di andare lontano”.

C’era qualcosa di pregresso tra Emanuele e il ragazzo che lo ha sfidato al bar, c’erano conti in sospeso con qualcuno che poi l’ha aggredito?
“Emanuele non aveva conti in sospeso con il mondo e non conosceva le persone che stavano al Miro, venerdì sera. Non c’è altra spiegazione, la cattiveria umana”.

Elenchiamo a Francesco Morganti i primi sei messi sotto inchiesta: padre e figlio, i due fratelli, poi altri due italiani denunciati. “Ho sentito anch’io questi nomi, ma non so chi sono, neppure Emanuele li conosceva. Posso solo aspettare, non voglio alimentare altro odio”.

Con Emanuele e la fidanzata, nel locale, c’erano altri amici?
“Almeno tre”.

Hanno visto qualcosa?
“Dicono che avevano una colonna davanti, dello screzio al bar non si sono accorti”.

Sono intervenuti?
“Uno solo, le ha prese anche lui”.

È Gianmarco, figlio della titolare di un bar di Tecchiena. Si è lanciato sul corpo di Emanuele quando l’amico era a terra, fermo, bersaglio. Ha tentato l’ultima difesa e l’hanno travolto. Alle sette di ieri sera Gianmarco è al bar di famiglia, quaranta coetanei attorno, pronti a esplodere. È graffiato in volto, non vuole parlare.

Francesco, che cosa le ha detto Ketty, la fidanzata di Emanuele?
“Sono colpito anche da questo. Ha raccontato che non ha potuto fare niente, le donne della compagnia che ha aggredito Emanuele l’avevano bloccata dentro il club prima che mio fratello fosse spinto all’esterno dai buttafuori”.

Lei come ricorda suo fratello?
“Come un ragazzo che si era fidanzato a scuola, al chimico biologico Pertini, e che dopo uno stage aveva trovato lavoro a Frosinone, sotto casa, a vent’anni. Non era il mestiere per cui aveva studiato, la Abb Sace fa elettronica, ma era felice. Lo sa che domenica, quando ci hanno comunicato la sua morte, era il giorno di Sant’Emanuele?

Vi prego, regalateci un bel ricordo, lo merita tutto”.

La seconda cosa che colpisce, in questi giorni, è il silenzio di Alatri. Il sindaco dice: “Chi sa, parli”.
“Qui non parla nessuno. Sì, è impressionante”.

Sua madre è in casa, ora?
“C’è anche un medico, mia madre sta male. E devo occuparmi di lei. Eravamo in cinque, ora siamo in quattro”.

REP.IT

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