Dal caso Ilva alla politica. L’ex pm di Taranto ora corre come sindaco
Da magistrato ha fatto scoppiare il caso Ilva e indagato industriali e politici. Da pensionato si candida a sindaco della città messa sottosopra dalle sue inchieste.
Franco Sebastio ha rotto gli indugi: correrà per la poltrona di sindaco di Taranto. Ancora indefiniti i contorni della coalizione che lo sosterrà. Sola certezza, la presenza al suo fianco di Rifondazione comunista e di un paio di liste civiche della galassia ambientalista. La stessa nella quale il giudice pugliese (in pensione dal primo gennaio 2016) gode di buona fama grazie alle indagini portate avanti negli anni. In particolare, quella sui veleni dell’Ilva. Tutto lecito: la legge non vieta la candidatura ai togati in servizio purché in aspettativa, figurarsi a quelli a riposo. In Puglia, poi: Michele Emiliano, da magistrato in aspettativa, è stato per due volte di fila alla guida del Comune di Bari e assessore a San Severo, prima del salto in Regione. Il Csm si è ricordato di lui solo quando qualcuno ha segnalato la sua nota condizione (fino a qualche tempo fa) di segretario regionale del Pd: via libera, allora, al procedimento disciplinare, perché un giudice può togliersi per un po’ la toga e rivestire cariche elettive, ma non iscriversi ad un partito.
Un paradosso italiano. Eppure, il dubbio sull’opportunità di lasciare che – prima o poi carriera giudiziaria e prospettiva politica possano incrociarsi resta. Anzi, cresce. Sebastio, ad esempio: tarantino doc, classe 1942, entra in magistratura nel 69: pretore a Gallarate, quindi a San Pietro Vernotico, infine a Taranto. Qui si distingue nella lotta ai reati ambientali: in Pretura mette su una sezione specializzata, che coordina personalmente. E reca la sua firma, nel 1982, la prima sentenza per inquinamento a carico dell’Ilva, all’epoca ancora di proprietà statale. Intanto diventa procuratore aggiunto e, nel 2008, capo della Procura. Ovviamente a Taranto. In questa veste nel 2012 riaccende i riflettori sul colosso siderurgico, nel frattempo passato ai Riva. È l’inchiesta «Ambiente svenduto»: 44 gli indagati, oggi a processo. Alcuni con l’accusa di disastro ambientale. Altri, specie sul versante politico ed istituzionale, di reati legati ad omissioni nel rilascio di autorizzazioni, come l’attuale primo cittadino Ippazio Stefàno. O addirittura di concussione: così l’ex presidente della Regione Nichi Vendola, imputato di concussione per aver esercitato indebite pressioni sulle autorità di controllo a vantaggio dell’Ilva.
In questa cornice prende ora slancio la corsa verso Palazzo di Città. Del resto, che dopo il rifiuto del Csm di concedergli una proroga Sebastio sarebbe finito in politica, era facile ipotizzare: lo scorso luglio proprio Emiliano lo aveva chiamato nel collegio dei suoi 30 esperti di fiducia. E lui a mezzo stampa già tratteggiava il futuro: «Continuare a lavorare per Taranto non mi dispiacerebbe». In cima ai pensieri l’Ilva, perché «l’attuale sistema di produzione ammoniva garantisce la sopravvivenza dello stabilimento solo inquinando. E ciò non può continuare». Idee da un programma per una candidatura che ci sarà. Come conferma la bocciatura ufficiale dei Cinque Stelle, che hanno smentito ogni possibile convergenza sul nome dell’ex magistrato. Già sabato l’avvio della campagna elettorale. Manco a dirlo, da uno dei luoghi simbolo di «Ambiente svenduto»: il rione Tamburi. Quello che l’Ilva e le sue polveri rosse ce le ha in casa. Ma guai anche soltanto a ipotizzare che tra il Sebastio procuratore capo ed il suo omonimo aspirante sindaco vi sia continuità: sono solo le coincidenze della vita.
IL GIORNALE