Kamikaze nella metropolitana di San Pietroburgo
Fuori dalla stazione di Sennaya Ploshchad ci sono centinaia di persone in attesa di notizie sui propri cari, e per offrire aiuto, alcuni appena evacuati e sotto choc, tra ambulanze, camion anti-incendio e transenne. I poliziotti, parte in tenuta antisommossa, non danno informazioni, non fanno passare nessuno. Qualche persona, ferita lievemente, esce con le proprie gambe dall’ingresso, il volto rigato di gocce di sangue che cadono a terra, mentre gli elicotteri volteggiano sopra la piazza, citata in Delitto e Castigo. È la scena di un incubo incomprensibile per «Piter», come tutti i russi la chiamano affettuosamente: la città sulla Neva, la città di Pietro il Grande, capitale degli zar e luogo natale di Putin, la seconda più grande di Russia, finora immune da questi attacchi, è ferita al cuore in quello che le stesse autorità, solitamente campioni di cautela, quasi subito ipotizzano sia un atto di terrore.
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Poco prima, alle 14,40 ora locale, non all’ora di punta, una esplosione ha sventrato la linea blu, nel terzo vagone di un treno in partenza da Sennaya per la successiva fermata di Tekhnologichesky Institut.
Almeno 14 persone uccise, 47 i feriti. Pochi istanti dopo le immagini da incubo girano su tutti i social network. La porta metallica del vagone divelta dall’interno, fumo ovunque, grida, cittadini che prima dell’arrivo dei soccorsi si prodigano per aiutare, inginocchiati a terra accanto a corpi feriti, e cadaveri, capelli biondi di donne. Alcuni sopravvissuti escono dai finestrini, le porte erano bloccate, il vagone è carbonizzato. «Io ero in quello prima – dice alla tv Dozhd il signor Nazar -. Molte persone, penso per la temperatura incandescente nel vagone, avevano i capelli e il volto bruciati. Ho visto altri tirarli fuori, e una ventina di corpi a terra». Gli impiegati dei negozi e uffici circostanti vengono allontanati, con poche spiegazioni: «Ci hanno detto solo che c’era stata una esplosione». Olya, studentessa, è sotto choc: «Eravamo nel treno alla fermata precedente, su Nevsky Prospekt, si è bloccato di colpo sulle rotaie, non abbiamo sentito rumore ma visto molto fumo, pensavamo fosse saltato un cavo. La polizia ci ha detto “non preoccupatevi, è tutto a posto”».
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Le autorità parlano di un kamikaze di 23 anni proveniente dall’Asia centrale. Indosso aveva una bomba «leggera», un «ordigno artigianale» di 200-300 grammi di tritolo, forse nascosto nello zaino. Tra le vittime ci sarebbero anche bambini, fra i feriti gravi una bimba venuta in gita con la nonna dalla lontana Barnaul. Poco dopo la celebre rete metropolitana, inaugurata il 5 novembre del 1955, viene chiusa completamente, in ogni stazione. Il traffico è al collasso, scatta la solidarietà degli automobilisti, i tassisti di Uber e Yandex si offrono di accompagnare gratis a casa i concittadini.
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Più tardi le autorità faranno sapere di aver rinvenuto, e disinnescato, un secondo ordigno inesploso nella stazione di Ploshchad Vosstaniya (Piazza della Rivolta, culla del 1917). E le telecamere di sicurezza interne avrebbero colto il presunto attentatore: un abitante di San Pietroburgo, sarebbe già sulla lista dei ricercati. Il canale Ren TV diffonde un’immagine in cui si vede un uomo dalla carnagione olivastra, folta barba e copricapo nero. Ma in serata l’uomo del filmato si presenta dagli agenti, dicendo di non centrare nulla. La bomba indossata dal kamikaze conteneva frammenti metallici, capaci di ferire un maggior numero di persone. Ma è presto per trarre conclusioni. In ogni caso per gli investigatori potrebbe esserci un secondo attentatore, ricercato dalla polizia. Ma come avrebbero fatto a introdurre la bomba? Nel metrò di Piter, come in quello di Mosca, notano gli esperti, ci sono ovunque costosi metal detector, e guardie.
Putin è in città, la sua città. Le misure di sicurezza erano state rafforzate per il suo arrivo. Eppure. Il presidente comunque non cambia la sua agenda. Dopo il media forum del Fronte Popolare «Verità e Giustizia» in mattinata, ricevuta la notizia dell’attacco non rinuncia a incontrare il presidente bielorusso Lukashenko che lo aspettava al Palazzo Kostantinovsky, poi seduto accanto al padre-padrone di Minsk commenta: «Le piste sono quelle dell’incidente, della criminalità e, anzi tutto, del terrorismo». È lui per primo a ufficializzare lo scenario più terribile, solo un’ora dopo l’attentato. Parlando batte nervosamente con il piede destro in terra. Gambe inquiete, sguardo impassibile. Solo in serata si reca sul luogo della tragedia, come aveva fatto qualche ora prima anche il governatore della regione di Leningrado, Georgy Poltavchenko: «Siate vigili e prudenti», dice ai pietroburghesi. A un certo punto si era diffusa la notizia che il Servizio Protezione Federale, la guardia personale di Putin, gli aveva impedito di andare, ma poi il Cremlino ha smentito. Intanto, il presidente Usa Donald Trump esprime solidarietà ai russi, definendo l’attacco «una cosa terribile».
La tragedia di Piter, che colpisce il cuore del business e del turismo in Russia, arriva in un momento delicato per Putin, con una nuova ondata di proteste nel Paese, sullo sfondo della crisi economica, a un anno dal voto presidenziale. E potrebbe rafforzarlo, ricompattando i russi intorno alla sua figura. Anche ieri un piccolo gruppo di dissidenti si è riunito proprio nel capoluogo baltico, per protestare contro la corruzione del premier Medvedev.
Un testimone, Arslan Kurbanov, ha detto al sito RBC che un suo collega dal tunnel di Sennaya gli avrebbe mandato un messaggio con il testo: «Un ragazzo ha lasciato una valigetta, ha aperto la porta e se n’è andato in un altro vagone». Ma più tardi si scoprirà che si trattava di un kamikaze. Alla tv Rossia 24 Sergey Goncharov, presidente dell’Associazione Internazionale dei veterani anti-terrorismo «Alpha», ritiene che si tratti di un «atto molto ben pianificato».
La procura generale russa parla di «attentato». Il Comitato investigativo ha aperto due indagini penali: una in base all’articolo 205, «terrorismo», e una in base al 223, «produzione di esplosivi e ordigni». Il Comune ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. Mentre nella blogosfera russa fioriscono le teorie complottiste: molti ricordano il 1999, la serie di bombe a Mosca che precedettero la seconda campagna cecena, l’ascesa al potere di Putin. Cortine di fumo sul futuro russo.
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