L’uomo che corregge Luomo
Il caffè
MASSIMO GRAMELLINI
C’è un ingegnere poetico, a Bristol, in missione per conto dell’Ortografia, questa dea continuamente bestemmiata da blasfemi di ritorno, ma ormai anche di sola andata. A venerarla sono rimasti alcuni lettori, occhiute vestali della grammatica che ogni mattina rivolgono ai giornali il loro grido di dolore. L’ingegnere si muove col favore delle tenebre. Quando, con un cappuccio calato sulla testa e una scala pieghevole sotto l’ascella, gira i quartieri in cerca di scritte ignoranti da riparare. Le vetrine della città come una lavagna immensa. Cominciò dall’apostrofo infiltratosi in un’insegna luminosa che non lo faceva dormire la notte (l’apostrofo, non l’insegna). Lo rimosse con uno scalpello e si sentì subito meglio.
Era il 2003 e non ha più smesso. Bristol non sarà l’Italia — i «po» con l’accento o senza, e mai che ci scappi un apostrofo —, ma anche lì il lavoro non manca. Ci sono genitivi sassoni da accudire, plurali monchi bisognosi di protesi, vocali sbadate e sbandate in cerca di sistemazione. Lui arriva, si arrampica e provvede.
Naturalmente è un pazzo, come tutti. Ma un pazzo innocuo e dolcissimo. Non ci mette la perfidia di un don Camillo, che correggeva sui muri gli slogan di Peppone aggiungendovi «asino!». E neppure la protervia dell’esibizionista: lui agisce nell’anonimato. Dice che i gestori dei negozi, non avendo mai badato agli errori, non si accorgono neanche delle sue correzioni. Quindi non è per loro che lo fa. E nemmeno per sé. Lo fa per le parole. Per tenerle pulite.
CORRIERE.IT
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