La battaglia culturale di Oxford per resistere all’effetto Brexit
Per la prima volta nella sua storia recente, l’Università di Oxford si trova in rotta di collisione col governo del Regno Unito e con gran parte dell’opinione pubblica. Molti miei colleghi, inclusi coloro che hanno responsabilità amministrative, intervengono quasi quotidianamente per criticare la politica della premier Theresa May e limitare i danni della Brexit. Su Twitter, Facebook, blog e sui quotidiani non passa giorno senza un intervento critico.
Il clima nei College è di rassegnazione mista a rabbia. L’università si sente accerchiata e cerca di difendere interessi legittimi, come l’accesso ai fondi di ricerca europei e la libertà di movimento degli studiosi. Ma i margini di manovra sono ridotti al lumicino.
Lo scontro in atto va ben oltre la politica scolastica. Esso ha radici profonde. Si fronteggiano due concezioni diverse della politica e della convivenza civile, le quali sfuggono alla semplice distinzione tra destra e sinistra. In un saggio recente, il giornalista David Goodhart ha coniato quella che sembra l’etichetta più felice per descrivere questi due schieramenti: Gli Anywhere (i nessunluogo) contro i Somewhere (i qualche luogo). Coloro che non si sentono legati ad alcun luogo si scontrano con coloro che sono radicati. I primi hanno un’ideologia moderatamente liberale, basata sui diritti umani universali, sono istruiti, progressisti e hanno cambiato casa diverse volte nella loro vita. I secondi sono nazionalisti, vivono vicino al luogo dove sono nati, lavorano nel settore privato, spesso con stipendi da fame, e non sanno che farsene della libertà di viaggiare liberamente in Europa. Invece di Università globali preferirebbero avere un istituto professionale vicino a casa, tanto loro a Oxford non ci metteranno mai piede. Soffrono più di tutti la competizione con i lavoratori del centro e del sud Europa, i quali a loro volta intasano gli ospedali e scuole pubbliche. I due maggiori partiti, conservatore e laburista, hanno di fatto abbracciato l’ideologia dei Somewhere.
La politica economica inglese dai tempi di Margaret Thatcher era predicata sull’idea che il lavoro manuale sarebbe stato sostituto da impieghi nel settore dei servizi avanzati. E così sono proliferate le università (da 70 nel 1984 a 170 nel 2016), sono stati tagliati i corsi di avviamento al lavoro e nel 1992 sono stati abolite gli istituti professionali, i cosiddetti Politecnici. Le competenze artigianali della classe operaia si sono perse in assenza di un piano industriale. A ciò si deve aggiungere la crisi dello stato sociale, in particolare i tagli all’istruzione pubblica. I dati che cita David Goodhart sono preoccupanti: il 17% degli studenti si diploma senza essere in grado di leggere e scrivere correttamente, mentre il 22% non è capace di fare di conto. Il paese è spaccato in due: una élite istruita nelle scuole private, mobile e colta, e una classe media preoccupata e a rischio di perdere tutto, con poche competenze e molto indebitata.
I Somewhere sono il motore della Brexit e determineranno il futuro del paese per almeno i prossimi trent’anni. L’intellettuale che meglio di tutti ha articolato l’ideologia dei Somewhere è Maurice Glasman, un professore di teoria politica entrato di recente alla Camera dei Lord su proposta del partito laburista. Un acceso sostenitore della Brexit, Glasman è profondamente religioso, cita Aristotele, difende la patria e la regina, ma allo stesso tempo vuole più democrazia locale, contro lo stato centralizzato e burocratizzato. «Tutti gli esseri umani hanno una tendenza a legarsi in piccoli gruppi; per essere aperti all’ambiente, i nostri corpi devono esser chiusi; anche in fisica gli atomi hanno una tendenza ad unirsi», ha filosofeggiato di recente.
Ho incontrato Glasman ad un dibattito ad Oxford. Un oratore appassionato e capace di tener testa alle menti migliori, ha delle ricette radicali: vorrebbe chiudere metà delle università inglesi, creare scuole professionali con il sigillo reale, che includano anche facoltà di legge e di medicina. Intervistato sul corso di laurea in Ppe, ha dichiarato che esso ha prodotto tecnocrati che credono che tutti problemi sociali possano essere risolti adottando la «ricetta» giusta, senza porsi domande fondamentali sul bene comune. Quando gli ho parlato mi ha detto che di norma non viene invitato nelle nostre aule. Oggi invece comincia a riscuotere un grande successo. Ormai la vecchia guardia accademica, liberale e internazionalista, deve fare i conti con un movimento politico nuovo, che è destinato a guidare il paese. E forse conquisterà anche Oxford.
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