Renzi ai franchi tiratori: basta giochetti. Torrisi non si dimette, Alfano lo fa fuori

 

– Ieri l’elezione del presidente della commissione Affari costituzionali al Senato
– Invece del candidato designato dal Pd, in accordo con Ap, è stato eletto Torrisi (Ap)
– Il Pd si è infuriato, e ha parlato di tradimento degli alleati
– Il leader di Ap e ministro Alfano gli ha chiesto di dimettersi, per lealtà al governo
– Lui si è rifiutato: «Manco il partito comunista sovietico». Alfano: «Non è più in Ap»

 

«Il fronte del no al referendum, al Mattarellum, all’Italicum, quello che ha votato Torrisi e ora è maggioranza, adesso ci faccia qualche proposta»: l’ex premier Matteo Renzi sfida i franchi tiratori sul caso dell’elezione di Salvatore Torrisi alla presidenza della commissione Affari costituzionali del Senato. «Un episodio grave e profondamente antipatico, non si può tornare al linguaggio della prima repubblica», sbotta Renzi, che ha riunito i suoi d’urgenza nel primo pomeriggio di giovedì dopo che il Pd è stato battuto a palazzo Madama. Ma, chiarisce l’ex segretario Pd, «La parola crisi di governo non la vogliamo sentire pronunciare.

Questi sono giochini da prima repubblica». E quindi? Il neo presidente non sembra avere alcuna intenzione di fare un passo indietro nonostante la richiesta di Angelino Alfano, ministro degli Esteri ma anche leader del suo partito, Alternativa popolare: «Inconcepibile la richiesta di Alfano: irrituale, manco nel Pcus sovietico», dice Torrisi. Ed è subito fuori: «Prendo atto della scelta del senatore Torrisi- risponde a stretto giro Alfano- Amen. Ha scelto la sua strada. La nostra è diversa: il senatore Torrisi non rappresenta AP al vertice della commissione Affari Costituzionali».

La richiesta di Alfano

Il ministro degli Esteri, dopo la bufera scoppiata sull’elezione di Torrisi, aveva indetto questa mattina una conferenza stampa per chiedere le dimissioni di Torrisi dalla presidenza della commissione. Una posizione durissima, ma necessaria a respingere al mittente le accuse di boicottaggio arrivate dal Pd, che si è infuriato per la mancata elezione del candidato deciso dalla maggioranza: «Da Orfini ho sentito parole surreali. Siccome non siamo nati ieri e abbiamo capito il giochino dico che non ci stiamo. Se qualcuno cerca pretesti per far cadere il governo e andare al voto anticipato lo dica chiaro».

La difesa

Il caso è scoppiato ieri pomeriggio, quando a sorpresa è stato eletto alla presidenza della commissione, cruciale per la legge elettorale, il senatore di Ap, Torrisi appunto, che stava reggendo la poltrona lasciata dalla ministra Anna Finocchiaro. A sorpresa perché l’accordo tra Pd e Ap prevedeva che invece quell’incarico andasse al dem Giorgio Pagliari. Immediata la reazione del Pd, che ha urlato al colpo di mano, e chiesto l’intervento del premier Paolo Gentiloni. Anche il ministro Andrea Orlando, candidato alla segreteria del Pd, propendeva per le dimissioni: «Credo che sia un gesto che aiuterebbe a fare un passo avanti per favorire il chiarimento tra i gruppi parlamentari». Sul caso è intervenuto pure l’ex Pd Massimo D’Alema, oggi Mdp: «Quello che è accaduto ieri più che riguardare l’unità del centrosinistra riguarda l’unità della maggioranza di Governo e dimostra che la collaborazione con le forze di centrodestra non funziona». Lapidari i Cinque Stelle, con Vito Crimi: «Abbiamo dimostrato plasticamente che la maggioranza non c’è più». Secondo Forza Italia, «Renzi si comporta come Grillo: un voto vale un voto, a patto però che a vincere siano loro, altrimenti il voto non è valido».

L’elezione

La votazione di ieri era finita 16 a 11, e secondo i big di Ap quei voti contrari non sono arrivati dagli alleati, ma «in casa». Nega Matteo Orfini, presidente del Pd: «Si costruisce un’operazione del genere, lo si fa in segreto, lo si fa contro il Pd e poi si dice che è colpa del Pd. Siamo oltre le fake news. Siamo al dadaismo», scrive su Facebook. La capogruppo a Montecitorio del Mdp aggiunge: «Zanda ha detto che nessun senatore del Pd ha votato Torrisi. Io dico lo stesso, che nessun senatore di Mdp lo ha votato», dice Cecilia Guerra. E anche il diretto interessato si difende: «I numeri parlano chiaro, alla maggioranza sono mancati forse sei voti. Non i nostri, comunque», dice in un’intervista pubblicata questa mattina dal Corriere Torrisi. Che non è però intenzionato a dimettersi dall’incarico: «Facciamo funzionare le istituzioni quindi la commissione- sostiene il senatore siciliano- Terremo sempre conto degli interessi del Parlamento e del Paese. Non c’è un problema personale: il problema è assicurare il funzionamento delle istituzioni».

CORRIERE.IT

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