Le grandi potenze pronte a creare zone cuscinetto per contenere Assad

giordano stabile
inviato a beirut

Il blitz sulla base di Al-Shayrat, tornata operativa già ieri con un raid sulla cittadina colpita dall’attacco chimico, Khan Sheikhoun, ha soltanto scalfito le capacità offensive dell’aviazione siriana. L’avvertimento sulle armi chimiche è arrivato. La strategia del dopo non è ancora chiara. Se l’azione si ferma qui i più importanti alleati degli Usa nella regione saranno delusi. Israele, Turchia e Paesi del Golfo vogliono un’azione più incisiva che dia garanzie sugli assetti regionali alla fine della guerra civile.

 Ma le tre potenze hanno anche obiettivi strategici molto diversi. L’unico punto in comune è la convergenza verso le «safe zone», cioè zone cuscinetto da dove l’aviazione e l’esercito di Bashar al-Assad sarebbero esclusi. E’ una versione ridotta della no-fly-zone su tutta la Siria proposta per esempio dal senatore repubblicano John McCain già cinque anni fa. Ma può consentire di cogliere più risultati.

Per Israele è strategico impedire che Hezbollah e le milizie fedeli all’Iran si installino sul confine Sud della Siria. I media israeliani hanno rilanciato ieri «indiscrezioni» provenienti dall’entourage di Benjamin Netanyahu. Il premier ha chiesto alla Casa Bianca due zone cuscinetto: una al confine fra Siria e Israele, lungo le alture del Golan, l’altra al confine fra Siria e Giordania, nella provincia di Daraa.

 

Le «buffer zone» sarebbero tutte in territorio siriano e senza la presenza di soldati israeliani. L’ipotesi più plausibile è che siano sul modello del Libano, con un contingente Onu a far da cuscinetto fra le forze siriane e le milizie sciite e gli eserciti israeliano e giordano. In questo modo, secondo Israele, si limiterebbe la capacità di Hezbollah di lanciare un attacco, e su un fronte molto più ampio di quello libanese.

 

LE AMBIZIONI DI ERDOGAN

 

Molto diversa è la «safe zone» che ha in mente il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. L’attacco chimico a Khan Sheikhoun gli ha dato l’occasione di smarcarsi da Mosca, tornare ad attaccare Assad e allargare le sue ambizioni nel Nord della Siria. Anche perché la sua operazione «Scudo dell’Eufrate» non ha raggiunto l’obiettivo di respingere i curdi a Est dell’Eufrate e prendere la città di Manbij, proprio per l’opposizione della Russia.

 

Ora il leader turco, alla vigilia del referendum costituzionale di domenica 16 aprile, punta a estendere l’influenza turca nella provincia di Idlib. Può contare sull’alleanza con il gruppo salafita di Ahrar al-Sham, presente nella provincia di Idlib assieme ai qaedisti di Hayat al-Tahrir al-Sham. Ma proprio la forza delle formazioni jihadiste rende molto più problematico un ingresso delle truppe turche.

 

IL KURDISTAN SIRIANO

 

Con il riallineamento della Casa Bianca sulle posizioni anti-Assad, Erdogan spera ora di ridimensionare il potere del raiss di Damasco, nemico dei Fratelli musulmani e dell’islam politico. E’ il modello che vorrebbe esportare in tutto il Medio Oriente. L’altro avversario da ridimensionare sono i curdi. Ma qui la «safe zone» che hanno in mente gli americani si scontra frontalmente con quella di Erdogan.

 

Anche se la scelta definitiva su chi debba entrare a Raqqa, dove ieri è stato compiuto un raid della coalizione a guida Usa che avrebbe causato anche 20 vittime civili, non è stata ancora presa, è chiaro che i curdi dello Ypg sono in pole position. Con Raqqa, e forse Deir ez-Zour, il Kurdistan siriano avrebbe dimensioni simili a quello iracheno, in marcia verso la piena indipendenza. Washington ha promesso molto ai curdi e difficilmente si potrà tirare indietro.

 

Con il Nord alla Turchia, il Nord-Est ai curdi e il Sud sotto controllo internazionale, la spartizione della Siria sarebbe un realtà. Soprattutto senza Assad al potere e con un governo centrale dominato dall’opposizione islamica sunnita filo-saudita (o in alternativa filo-Qatar). Ma arrivare a questo occorre smantellare le difese aeree russe per poter distruggere l’aviazione di Assad.

 

Il problema è militare e politico. Vladimir Putin ha schierato il meglio della tecnologia anti-aerea russa: l’ultima versione degli S300 e gli S400. Per l’analista militare Alex Kokcharov, dell’IHS Maarkit, questi sistemi sono «pienamente in grado» di intercettare i missili Cruise Tomahawk e la maggior parte dei cacciabombardieri americani, a parte gli invisibili F-22. Se venerdì gli S300 non hanno abbattuto i Tomahawk è perché i russi «hanno scelto di non farlo».

 

Imporre le zone cuscinetto implica un impegno militare americano di proporzioni molto più vaste. Uno scontro aperto con la Russia. L’alternativa è concedere una «safe zone» anche a Mosca: il nucleo duro del potere alawita, Tartus e Lattakia, e magari anche Damasco, con un Assad dimezzato.

LA STAMPA

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