I 5 stelle e il partito dei giudici

jacopo iacoboni

Ci sono un paio di fotografie – opposte – che vanno isolate dalla convention di Ivrea in ricordo di Gianroberto Casaleggio. La prima è l’istante in cui è salito sul palco Sebastiano Ardita, il procuratore aggiunto a Messina, autore di inchieste importanti, spesso concluse con condanne, non con dei nulla di fatto, come altri pm. Pochi hanno notato che Beppe Grillo è arrivato esattamente in quel momento, per sentire proprio quell’intervento.

 La seconda fotografia è Antonio Di Pietro che diceva in giro «sono qui perché tanti anni fa ho collaborato con Gianroberto Casaleggio», e si è fermato a lungo a parlare con Luca Eleuteri, esecutore di Gianroberto a cui fu demandata – in Casaleggio – la pratica Italia dei Valori. Due vecchi amici, ma nulla più.

Ecco: la seconda foto è l’immagine, ormai sbiadita, della Casaleggio che progetta il «partito dei giudici», che fu poi incarnato dall’allora pm più famoso d’Italia. La prima invece è l’immagine della Casaleggio che sta maturando una svolta nel rapporto tra Movimento e giustizia: non più il «partito dei giudici», ma un «partito nei giudici». L’espressione è di una fonte che conosce esattamente le cose di cui si è parlato in alcune chiacchierate riservate a Ivrea. Attorno a un tema centrale: che posizione dovrà assumere il Movimento sulla giustizia, e sui giudici?

 

È noto che il sogno M5S sarebbe poter presentare il nome di Piercamillo Davigo (in caso di vittoria elettorale) come il preferito in una ipotetica rosa da sottoporre al Quirinale. Ma chi lo conosce sostiene: «Non accetterà, quasi al cento per cento». A parte quel quasi, qual è allora l’opzione subordinata dei grillini?

 

Il partito di Davide Casaleggio potrebbe assumere, a breve, una posizione molto forte sul tema: separazione – drastica, assoluta – tra magistratura e carriere in politica. Guarda caso, è la linea che sta cercando di imporre – nella corsa lunga per il Csm – la corrente «Autonomia e Indipendenza», dove tra l’altro militano Davigo e Ardita. Questa presa di posizione sarebbe in forte contrasto con un altro partito trasversale, in magistratura, più disposto agli scambi con la politica (in doppia direzione). Scambi che hanno visto esperienze anche diversissime, ma non sempre brillanti, da Di Pietro a Ingroia, da De Magistris (lanciato sul blog di Grillo assieme a Sonia Alfano) a Piero Grasso.

 

Se questo piano B si realizzerà, il M5S passerebbe dal «partito dei giudici» (quella era l’Idv) al «partito nei giudici», una nuova forma di collateralismo cheassicurerebbe, a un tempo, controllo di palazzo Chigi e legame – c’è chi dice addirittura subalternità vera – con un gruppo di toghe amiche.

LA STAMPA

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