La campagna jihadista contro i cristiani protetti da Al-Sisi
Gli attentati che hanno colpito ieri due chiese in Egitto, uccidendo almeno 47 persone, arrivano dopo una serie di attacchi contro la minoranza cristiano-copta del Paese. Il complesso della cattedrale di Abbasseya, al Cairo, è stato a dicembre teatro di un attentato in cui sono morte 25 persone. Tra gennaio e febbraio, sette copti di al-Arish, cittadina impoverita del Sinai, sono stati uccisi. Queste violenze casa per casa, firmate Stato islamico come gli attacchi di ieri, hanno obbligato decine di famiglie cristiane alla fuga dalla penisola.
La violenza dell’Isis si trasforma, spiega Michael Hanna, esperto di Egitto per la Century Foundation: se prima era contenuta soltanto nel Sinai e prendeva di mira lo Stato, tracima ora verso altre zone del Paese e colpisce civili. I copti – il 10% di una popolazione di 92 milioni, da decenni considerati dai regimi egiziani cittadini di seconda classe – sono «il soft target per eccellenza». Come in Iraq, il terrore dello Stato islamico si insinua in quelli che sono già precari equilibri tra comunità religiose, in un Paese dove gli scontri tra cristiani e musulmani risorgono ciclicamente.
In estate, alcuni episodi hanno riavviato le tensioni nel Sud: un’anziana cristiana era stata trascinata nuda per un villaggio innescando l’odio settario e gli scontri; famiglie e un asilo cristiani erano stati presi d’assalto nella regione di Minya, ignoti avevano sparato a una suora lungo l’autostrada Cairo-Alessandria, un farmacista di Tanta era stato decapitato.
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L’attacco di dicembre al Cairo ha portato al rafforzamento della sicurezza, almeno visivamente, in molte chiese della capitale, davanti alle quali già dal sabato sera compaiono blocchi di cemento, transenne. Gli attacchi di ieri però sono destinati a sollevare questioni sul livello di sicurezza garantito dalle autorità all’inizio della Settimana Santa pasquale, quando le chiese del Paese sono gremite. Già a dicembre, una folla arrabbiata di cristiani aveva criticato il governo, e mass media locali e internazionali si erano chiesti se il presidente Abdel Fattah al-Sisi non stesse perdendo parte del sostegno copto. Il raiss egiziano gode dell’appoggio dei cristiani, spaventati dopo la rivoluzione del 2011 dal successo elettorale dei Fratelli musulmani: dalla sua investitura, Sisi ha agito in maniera diversa rispetto ai predecessori, partecipando per esempio alla messa di Natale al Cairo. A ottobre 2016, nell’incontrare papa Tawadros, ha garantito che musulmani e cristiani sono uguali davanti alla legge per la Costituzione del 2014, accolta con favore dalla comunità cristiana.
A inizio marzo, l’Università-moschea di al-Azhar, tra i più significativi centri dell’Islam sunnita che Papa Francesco visiterà a fine mese, ha ospitato una conferenza, sponsorizzata dal presidente, sul tema della cittadinanza: non minoranze, ma cittadini, è il messaggio della dichiarazione conclusiva. La Corte costituzionale ha recentemente emanato un verdetto contro il divieto che impediva ai copti di visitare i luoghi sacri a Gerusalemme, e durante l’estate è passata una legge, richiesta per decenni dai cristiani, sulla costruzione di chiese, regolata dallo Stato. Attivisti e politici cristiani hanno però criticato i vertici della Chiesa copta per aver accettato un compromesso reputato debole con il governo e non manca nella comunità chi accusi i responsabili religiosi di appiattirsi sul regime. Le nuove violenze contro le chiese potrebbero erodere parte del sostegno dei cristiani, che oggi si sentono nel mirino e non adeguatamente protetti, ma «la popolazione, anche se delusa, non si sente avventurosa nel caos, in molti pensano non sia il momento di cercare alternative», spiega Hanna.
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