M5s, né destra né sinistra: il partito “pigliatutti” che punta ai delusi della politica
di ILVO DIAMANTI
Nei giorni scorsi il M5S si è recato a Ivrea. A celebrare Gianroberto Casaleggio, un anno dopo la sua morte. Ma anche, indubbiamente, a celebrare se stesso. Il MoVimento. Infatti, in questa fase politica fluida, il M5S si muove a proprio agio. D’altronde, si definisce un non-partito. Simbolo della non-politica di questo (non)Paese.
Casaleggio, d’altronde, è stato figura significativa della non-politica italiana e del non-partito che ne è divenuto il riferimento. Co-fondatore del M5s, ne interpreta l’anima digitale. Ma anche il modello “personale” ed “ereditario”. A presiedere l’evento, infatti, era il figlio, Davide, che ne ha preso il posto. Non solo in azienda, ma anche nel M5s. Accanto a Grillo. D’altra parte, la personalizzazione, contestuale alla mediatizzazione, è divenuta regola dominante della politica. Osservata da tutti i partiti – o sedicenti tali. Tanto più dopo l’irruzione della rete. Ivrea è stata scelta perché da lì è partita la “carriera” professionale – e quindi politica – di Casaleggio. Alla Olivetti. Più di un’azienda: un modello di ricerca applicata all’economia e alla società. “Insediato” sul territorio. Si pensi all’Istao, un centro studi e formazione, alle porte di Ancona, intitolato ad Adriano Olivetti.
Importante anche per chi si occupa di politica e di amministrazione. A Ivrea, non per caso, era presente anche Chiara Appendino. Sindaca 5s di Torino. Eletta lo scorso giugno. Bocconiana. Così Ivrea, per il M5s, costituisce un luogo “esemplare”. Adeguato, peraltro, a rappresentare il suo “bacino elettorale”, che non pare risentire delle polemiche sollevate da recenti episodi. Da ultimo: la bocciatura di Marika Cassimatis, la candidata vincitrice delle Comunarie online a Genova, esclusa da Beppe Grillo. Nonostante tutto, Il M5s non perde colpi e i sondaggi lo indicano davanti a tutti, o, comunque, accanto al PD, per consensi elettorali. Ivrea, come ho detto, raffigura efficacemente l’identità sociale del M5s. Il soggetto politico più rappresentativo – e attraente – presso gli imprenditori, i lavoratori autonomi e presso i tecnici del privato. Peraltro, raccoglie consensi ampi e superiori alla media anche in altri settori. Fra gli operai, gli impiegati pubblici. E tra gli studenti. Anche perché è il (non)partito di gran lunga preferito fra i giovani (sotto i 30 anni). E fra gli adulti-giovani (30-44 anni).
In definitiva, è un “partito pigliatutti”, che batte sul tasto dell’innovazione e del futuro, per caratterizzare il marchio della sua offerta politica sul piano generazionale.
Peraltro, è difficile isolare le priorità specifiche del suo programma. Non per caso Davide Casaleggio, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo, venerdì sera, ha evitato accuratamente di fornire riferimenti e contenuti precisi, riguardo alle scelte del M5s, nella prossima fase. Preferendo, al proposito, sottolineare la propria in-competenza. In quanto ad altri spetterebbe questo compito. Allo stesso tempo, ha rifiutato di dire per quale partito, o meglio, quali partiti avesse votato in passato. Non per timidezza e neppure per ambiguità. Ma per opportunità. Per strategia. Non diversamente da Grillo, il quale, all’opposto, ha espresso posizioni diverse e talora divergenti, su temi e materie sensibili. Per prime: l’immigrazione, l’euro e l’Europa. Il fatto è che entrambi, Grillo e, dunque, Casaleggio, debbono fare i conti con un elettorato molto differenziato. Sotto il profilo sociale, ma anche della posizione politica. Solo la Dc, nella Prima Repubblica, mostrava un elettorato altrettanto spalmato, da destra verso sinistra. E, per questo, ancorato al centro. Così, la base del M5s oggi si divide e si colloca, politicamente: intorno al centro e fuori dallo spazio politico.
Infatti, il 45% dei suoi elettori si dichiara “esterno” ed “estraneo” alla distinzione fra destra e sinistra. Mentre gli altri si distribuiscono, senza troppi squilibri, nello spazio politico. E gravitano, dunque, “mediamente” al centro. Così si spiega la reticenza dei leader del M5s a “esporsi”, esprimendo posizioni apertamente schierate. Perché al M5s si dice vicino circa uno su 4 fra gli elettori della Lega, di FI, della Destra-FdI e, sul versante opposto, di Sinistra Italiana. Ma suscita interesse, per quanto in misura minore, anche fra gli elettori del PD e dei Centristi. Perché “deluderli”? Perché scoraggiare la tentazione, da parte loro, di votare proprio per il M5s, nel caso, più che possibile, prevalesse la delusione verso il proprio partito di riferimento? Verso la politica?
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D’altronde, se osserviamo lo spazio politico, le “tensioni” fra i partiti che si posizionano intorno e vicino al M5s appaiono evidenti. Soprattutto nel Centro-sinistra. Dove gli elettori del PD e gli scissionisti del MDP-Articolo 1, guidati da D’Alema e Bersani, condividono, lo stesso, identico punto dello spazio politico. E ciò conferma il sospetto che le differenze e le divergenze che hanno prodotto la scissione abbiano ragioni non tanto “politiche”. Ma, piuttosto e soprattutto, “personali”. Dettate da rivalità e incompatibilità ricorrenti e di lunga data. Non per caso, proprio Renzi, a Bari, ha lamentato che “da noi non può funzionare se il primo che ti accoltella è il tuo compagno di partito”.
Così, non può sorprendere la capacità competitiva, sul mercato politico, del M5s. Il non-partito “centrale” (senza essere “centrista”, per echeggiare Emmanuel Macron) di uno spazio politico “senza stelle”. Dove si agitano post-partiti divisi. Oppure cresciuti all’ombra del Capo. E oggi logorati dal declino del Capo e dalla competizione fra capi non altrettanto autorevoli.
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