Caduti nella Rete
IL PROBLEMA non è che i nostri ragazzi vivano attaccati al telefonino, il problema è che vivendo attaccati al telefonino (e agli iPad e ai videogiochi) c’è il fondato sospetto che i nostri ragazzi perdano un po’ alla volta ma inesorabilmente buona parte di quelle facoltà che più configurano l’intelligenza: la memoria, la capacità di attenzione, la fantasia, la concentrazione, la manualità, lo spirito critico. Tutto si consuma nell’attimo, nel brevissimo periodo di un eterno presente, nella scia di una qualche emozione passeggera e sempre dibattendosi sulla superficie delle cose.
Esistenze elementari che si esprimono in una lingua sempre più basica. Esistenze estroflesse, in apparenza condannate alla fine di Narciso: innamorati della propria immagine fino a, simbolicamente, morirne annullandosi in essa. Che i giovani appartengano alla massa o alla cosiddetta élite non fa più alcuna differenza. Hanno le stesse tendenze, lo stesso stile primitivo e la medesima dipendenza dal Web. Dipendenza fisica, dipendenza psicologica. Tutti drogati come cocainomani. Tutti, democraticamente, caduti nella medesima Rete.
Convinti d’essere liberi, ma come mai prima omologati e prigionieri. Limitati. Perciò il dubbio attorno al quale dibatteremo con riflessioni e interviste da oggi sarà: stiamo forse allevando generazioni di ‘dementi digitali’? L’espressione non vuol essere offensiva. È il titolo di un libro scritto da uno psichiatra tedesco, Manfred Spitzer, che ha studiato con piglio scientifico i danni che l’abuso dei media digitali produce su cervelli ancora in formazione. Messa così, suona sgradevole. Ma negare il problema non è il modo migliore per coltivare il futuro dei nostri figli.
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