In Italia quasi 24 milioni di malati cronici, un peso per il Servizio sanitario nazionale
MICHELE BOCCI
LA SANITA’ italiana è fiaccata dalla richiesta di assistenza da parte di malati cronici, che sono quasi 4 cittadini su 10 cioè 23,6 milioni di persone. E’ il dato forte dell’edizione di quest’anno del rapporto Osservasalute, realizzato dell’Università Cattolica di Roma. I dati sull’aspettativa di vita sono sempre buoni nel nostro Paese ma a causa anche dell’invecchiamento della popolazione, stanno crescendo le patologie corniche. “A chi ne soffre sono destinate gran parte delle ricette per i medicinali e buona parte dell’assistenza da parte dei medici di famiglia”, è spiegato nel rapporto.
I problemi cronici. I problemi cronici più diffusi sono ad esempio il diabete, l’asma bronchiale, l’osteoartrosi, i disturbi della tiroide, lo scompenso cardiaco, le malattie ischemiche del cuore e neurologiche. “Nel 2015 il 23,7% dei pazienti adulti in carico alla medicina generale presentava contemporaneamente 2 o più condizioni croniche tra quelle prima elencate. Questo dato mostra un trend in preoccupante crescita, salendo dal 21,9% nel 2011 al 23,7% nel 2015″. Queste persone ovviamente consumano moltissima sanità, oltre che farmaci anche prestazioni diagnostiche e visite specialistiche. La sostenibilità del sistema, che è già in difficoltà economiche, dipende anche dalla domanda che arriva da quel tipo di malati. “Le patologie croniche riflettono anche i divari sociali del paese: un esempio su tutti è la prevalenza di cronicità che nella classe di età 25-44 anni ammonta al 4 per cento, ma mentre tra i laureati è del 3,4 per cento, nella popolazione con il livello di istruzione più basso e pari al 5,7 per cento”.
Il Sud indietro. Osservasalute conferma inoltre, come fa ogni anno, le grandi differenze di assistenza e funzionamento del sistema sanitario tra le diverse regioni, uno dei problemi storici della sanità italiana. “Questi divari si riflettono sulle condizioni di salute e sull’aspettativa di vita dei cittadini italiani di Nord, Centro e Sud Italia a vantaggio degli abitanti delle prime due zone del Paese”. Nel 2015 ogni italiano poteva sperare di vivere mediamente 82,3 anni (uomini 80,1; donne 84,6). Sia v da Trento, dove la sopravvivenza sale a 83,5 anni (uomini 1,2; donne 85,8), alla Campania, dove l’aspettativa di vita è di soli 80,5 anni (uomini 78,3; donne 82,8). Come ormai noto, in Italia nel 2015 la speranza di vita alla nascita si è abbassata di 0,2 anni negli uomini e di 0,4 anni nelle donne rispetto al 2014 a causa del picco di mortalità che si è registrato quell’anno.
Mortalità. Il Mezzogiorno resta indietro anche sul fronte della riduzione della mortalità. “Negli ultimi quindici anni questa è diminuita in tutto il Paese, ma tale riduzione, soprattutto per gli uomini, non ha interessato tutte le regioni: è stata del 27% al Nord, del 22% al Centro e del 20% al Sud ed Isole”. Tra le prestazioni che denotano una forte differenza tra realtà locali, ci sono gli screening oncologici. In realtà come la Lombardia, tutta la popolazione a rischio è coperta, nel senso che viene chiamata per fare i controlli periodici per prevenire il cancro e risponde con una certa regolarità. In Calabria la copertura è invece del 30%.
Le risorse. Secondo i ricercatori non è un fatto di carenza di risorse. “Questa non basta a spiegare le differenze tra Nord-Sud e Isole. Osservando l’indicatore sulle risorse disponibili in termini di finanziamento pro capite emerge che molte regioni del Nord migliorano la loro performance senza aumentare la spesa. Per contro, alcune regioni del Mezzogiorno, alle quali si aggiunge il Lazio, peggiorano la performance pur aumentando le risorse disponibili rispetto al dato nazionale”.
Lo studio. Osservasalute è pubblicato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane, che ha sede all’Università Cattolica di Roma, e coordinato da Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità, direttore dell’Osservatorio e ordinario di Igiene alla Cattolica, e dal dottor Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’osservatorio. Il Rapporto è frutto del lavoro di 180 ricercatori.
La ministra. Beatrice Lorenzin commenta i dati spiegando che «oggi abbiamo due Italie per quanto riguarda l’assistenza sanitaria: una che è al top nel mondo ed un’altra che invece sta dietro. Credo che riportare in alto quella parte che sta indietro sia fattibilissimo a patto che si lavori sulla prevenzione e sulla programmazione. La nostra prima battaglia è quella contro l’obesità e contro gli stili di vita scorretti. L’altra grande battaglia è quella contro le infezioni. La ministra ha anche sottolineato: “La spesa sanitaria non può rimanere al 6,4% del Pil ma deve tornare a risalire attestandosi su tassi europei e permettendo così una maggiore uniformità della spesa pro capite a paziente regione per regione. Dal 2015 il dislivello tra le regioni in alcuni casi è di 200-300 euro e si traduce in una diversa offerta di servizi”.
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