Massoneria, scoppia la grande faida

di Gianfrancesco Turano

Nel fine settimana della Gran Loggia, organizzato dal Grande Oriente a Rimini dal 7 al 9 aprile, la massoneria si mostra compatta, in salute, forte delle sue adesioni in crescita costante. Nel trecentesimo anniversario dalla nascita della massoneria moderna a Londra, la kermesse annuale ha convocato al Palacongressi della città romagnola duemila persone, ha programmato spettacoli teatrali dedicati alla vita di Enzo Tortora, commemorazioni di fratelli illustri come l’attore Arnoldo Foà e l’apneista Enzo Maiorca. Fra i politici invitati, gli habitués Daniele Capezzone (Direzione Italia) e il viceministro delle Infrastrutture e segretario socialista Riccardo Nencini.

Abbondanti e varie anche le delegazioni internazionali presenti in Italia per ottenere il riconoscimento del Goi: Mali, Sudafrica e cinque Stati della federazione brasiliana. Tutto sotto il patrocinio del segretario esecutivo della conferenza dei Gran Maestri internazionali, il chirurgo pediatrico rumeno Radu Balanescu.

Tutto bene, quindi? Non è proprio così. Dietro labari e stendardi le divisioni aumentano. Il triplice fraterno abbraccio del rituale non esclude la pugnalata alla schiena e di faide massoniche è piena la storia d’Italia. Ma quello che sta accadendo ai vertici delle due principali obbedienze italiane (Grande Oriente d’Italia o Goi e Gran Loggia degli Alam) non si vedeva da 36 anni, ai tempi della tempesta P2, loggia speciale del Goi guidata da Licio Gelli.

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Aboliamo la Massoneria

Un’inchiesta politica 
e giudiziaria senza precedenti dai tempi della P2 mette sotto scacco il mondo 
degli incappucciati. 
E la commissione Antimafia vuole  i nomi degli affiliati. Era ora. Ma non basta

A fare detonare le tensioni che covavano da tempo fra le colonne mistiche di Jachin e Boaz sono state le pressioni della Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Rosy Bindi che, dopo settimane di trattative, promesse mancate e offerte di collaborazione andate a vuoto, ha rotto gli indugi sequestrando gli elenchi di 35 mila iscritti alle quattro principali obbedienze nazionali.

In origine l’obiettivo dell’Antimafia erano i fratelli di Sicilia e Calabria, regioni ad alto rischio dove si è registrato un boom di affiliazioni alla libera muratoria. Alla fine, com’è accaduto nel 1992 su ordine del procuratore di Palmi Agostino Cordova, gli uomini della Guardia di finanza hanno prelevato gli elenchi in blocco. Per tutelare le esigenze di riservatezza e prevenire le fughe di notizie, finora nessuno dei parlamentari ha avuto accesso alle liste che saranno controllate da esperti informatici per verificare eventuali manipolazioni.

Il lavoro di catalogazione si svolgerà con la supervisione dei magistrati consulenti della Commissione e sarà lungo. A oggi non risulta che gli elenchi siano stati trasferiti alle principali procure che indagano sul crimine organizzato. Ma il segnale è chiaro. A un quarto di secolo dall’inchiesta di Cordova finita in nulla dopo l’avocazione da Palmi a Roma, la magistratura ha preferito cedere l’iniziativa alla politica e non ha sequestrato gli elenchi direttamente, come pure poteva, proprio per agire in parallelo con una commissione dove sono presenti tutti i gruppi parlamentari.

L’intervento, mirato a scoprire le infiltrazioni del crimine organizzato fra i grembiuli, ha incrinato il riserbo dei massoni che, dopo l’inchiesta dell’Espresso di due mesi fa, hanno rivelato lotte interne, guerre di potere, episodi boccacceschi e rituali in stile Grand-Guignol, piuttosto lontani dalle tradizioni risorgimentali.
Fra espulsioni, scissioni e processi massonici, nelle logge è tutti contro tutti.

Sorelle d’Italia
La spaccatura più grave riguarda la Gran Loggia degli Alam (antichi liberi accettati muratori), seconda associazione massonica per numero di iscritti (8114 in 510 logge), unica in Italia ad accettare le donne e molto legata, sul piano internazionale, agli oltre 50 mila iscritti del Grande Oriente di Francia.

Gli Alam sono guidati da Antonio Binni, avvocato civilista modenese con studio a Bologna, classe 1937, studi a Berlino e Gottinga, nipote del grande italianista e dantista Walter Binni.
Eletto nel 2013, Binni ha lasciato l’attività forense e per questo è stato il primo Gran Maestro degli Alam ad attingere all’emolumento annuale previsto dagli statuti (40 mila euro, con l’ipotesi di aumentare a 60 mila). Poca cosa rispetto ai 130 mila euro del numero uno del Goi, Stefano Bisi. In compenso, non è trascurabile il patrimonio degli Alam. Il Centro sociologico italiano, semplice associazione collegata agli Alam, gestisce 22 immobili, quasi tutti destinati a case massoniche, escluse quelle estere che spaziano da Beirut a Toronto («niente calabresi, molti lucani», ha dichiarato Binni all’antimafia a proposito delle logge canadesi).

Il 17 dicembre 2016 Binni ha rivinto le elezioni per il secondo mandato con una maggioranza risicata. Il giorno dopo, con un gruppo di sei fedelissimi e in assenza dei suoi nove oppositori, ha rivoluzionato il Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico e accettato (Rsaa).

Al posto dei nove dissidenti con grado 33 (il massimo riconosciuto dal Rsaa), il Gran Maestro e Sovrano Gran Commendatore Binni ha nominato ventinove fratelli e si è garantito il controllo del consiglio convalidando la decisione il 14 gennaio 2017.

Per capire l’importanza dell’operazione, bisogna aggiungere che il Rito Scozzese è l’élite dell’iniziazione massonica. Oltre a essere il più praticato a livello internazionale, consente di proseguire il percorso iniziatico al di là dei tre gradi di apprendista, compagno e maestro previsti dall’ordinamento.

Le conseguenze del colpo di mano del 17 dicembre sono state drammatiche per l’obbedienza di palazzo Vitelleschi, splendida dimora al centro di Roma.
Gli esclusi hanno protestato invano contro Binni, che in audizione davanti all’Antimafia si è vantato di governare l’obbedienza con le maniere forti.

Uno scambio incrociato di Tavole d’accusa ha portato alla secessione di circa 600 fratelli che hanno seguito l’ex Gran Maestro degli Alam Luigi Pruneti verso una nuova obbedienza. Il 18 febbraio Pruneti e il fiorentino Riccardo Cecioni sono stati espulsi da Binni. Per usare la terminologia esoterica, sono stati bruciati fra le colonne del Tempio, nel rogo simbolico che rappresenta la massima punizione della giustizia massonica, in quanto colpevoli di spergiuro e tradimento.

Circa un migliaio di fratelli si sono messi in sonno (autosospensione). Altri si stanno rivolgendo (stanno bussando, in gergo) ad altre obbedienze.

Chi ha deciso di rimanere combatte la battaglia dall’interno sotto la guida di Sergio Ciannella, avvocato che ha il titolo di Venerabile Gran Priore del Supremo Consiglio. In sostanza, è il numero tre degli Alam schierato insieme al suo gruppo contro il numero uno, Binni, e il suo vice, Luciano Romoli, ex avversario di Binni diventato il suo delfino e autore di una strategia di riavvicinamento al Vaticano che non tutti hanno apprezzato all’interno dell’obbedienza.

Ancora meno è stato apprezzato l’atteggiamento di Binni davanti all’Antimafia, il 25 gennaio 2017, quando il Gran Maestro ha negato qualunque infiltrazione indicando ai parlamentari il problema delle 92 obbedienze (non logge, quindi, ma intere organizzazioni) nella sola Arezzo e aggiungendo di non essere amato né in Calabria, né in Sicilia. In verità, Binni sembra poco amato anche altrove.

«Non vogliamo sentire parlare di Vaticano, di Bilderberg e di altri poteri forti», dice il napoletano Ciannella. «Siamo figli dei patrioti dell’Ottocento e vogliamo continuare nell’alveo della tradizione senza uscire dall’obbedienza. È Binni che deve uscire. Il suo comportamento davanti all’Antimafia ha suscitato indignazione fra gli Alam in Piemonte, in Lombardia, in Toscana. Il Gran Maestro ha scaricato i fratelli siciliani e calabresi in modo indiscriminato e poi si è messo al riparo dicendo che non li controlla. Si è dimenticato di dire che gli affiliati da lui sospesi sono stati reintegrati con sentenze della magistratura ordinaria. Molti di noi hanno invece apprezzato l’atteggiamento di Stefano Bisi del Goi a difesa della privacy di chi è iscritto a un’associazione non riconosciuta prevista dalla Costituzione».

La gestione di Binni è stata contestata anche di recente durante una riunione con circa 200 fratelli piemontesi a Torino. Il Gran Maestro ha replicato con piglio autocratico alle domande riguardanti la questione del Supremo consiglio e certi presunti favoritismi come quello verso una giovanissima affiliata. La sorella è stata promossa di tre gradi in un colpo solo all’interno del Rito scozzese antico e accettato per opera di un “motu proprio” del Gran Maestro. Eppure proprio Binni sottolinea nel suo programma per la gran maestranza che “occorre ostacolare con ogni dovuta fermezza la corsa ai gradi”. A chi gli ha fatto notare l’incongruenza fra teoria e prassi Binni ha replicato ammettendo a suo modo l’errore: avrebbe dovuto avanzare di quattro gradi invece che di tre la giovane sorella. Secondo fonti investigative, c’era anche lei oltre a Binni a palazzo Vitelleschi la notte in cui sono stati sequestrati gli elenchi.

«Siamo arrivati al punto», dice il membro di una loggia della Toscana meridionale, «che un fratello promosso dal terzo al grado, un passaggio molto importante, ci ha telefonato per rinunciare alla cerimonia».
Consultato dall’Espresso, Binni ha affidato a un portavoce il suo desiderio di non rilasciare commenti sui dissidi interni degli Alam. Presto dovrà comunque farlo. Il conflitto sul colpo di mano del 17 dicembre scorso è stato portato a conoscenza della magistratura ordinaria con una citazione al Tribunale di Roma mirata a ottenere l’annullamento delle sospensioni deliberate da Binni. Il verdetto dovrebbe arrivare entro metà giugno. Prima, il 20 aprile, si riunirà l’Alta Corte di Giustizia massonica convocata dal gruppo di Ciannella contro Binni e Romoli. In seguito, si terrà il processo interno a parti invertite.

Già nel 1998, a Bologna, c’era stato uno scontro finito davanti al tribunale ordinario fra il Maestro Venerabile della loggia Carducci Vincenzo Maria Santoro, notaio, e l’allora numero uno dell’obbedienza, il commercialista Renzo Canova, che aveva espulso Santoro. Canova era difeso dall’avvocato Binni. Ma la situazione di oggi è molto più grave.

Tesoriere vs Gran Maestro
La crisi degli Alam è una copia della scissione che colpì il Goi nel 1993, quando il numero uno di allora, Giuliano Di Bernardo, decise di abbandonare l’obbedienza a seguito dell’inchiesta di Cordova. Di Bernardo fondò la Gran Loggia Regolare d’Italia portandosi dietro l’ambitissimo riconoscimento della Gran Loggia d’Inghilterra.

Al Goi non la presero bene e bruciarono materialmente i ritratti del Gran Maestro scissionista nel tempio.
Il Grande Oriente d’Italia (23 mila iscritti in 805 logge) è l’obbedienza che più si è scontrata con l’Antimafia.
Per certi aspetti il braccio di ferro con la commissione ha puntellato sul fronte interno il numero uno del Goi. Nelle sue audizioni Stefano Bisi ha sempre tenuto una posizione antagonistica sulla consegna degli elenchi.
Molti fratelli hanno apprezzato e, anche se Bisi non conferma, molti transfughi della Gran Loggia degli Alam stanno bussando a Villa del Vascello, il lussuoso palazzo al Gianicolo che ha sostituito come sede del Goi palazzo Giustiniani, acquisito dal Senato della Repubblica.

Con i parlamentari lo scontro continua a salire di livello. Il 17 marzo il Goi ha presentato alla Commissione un’istanza di revoca in autotutela contro il sequestro degli elenchi avvenuto il primo giorno di marzo nella sede dell’obbedienza. Non avendo ottenuto risposta, il 31 marzo il collegio difensivo del Goi si è rivolto alla magistratura di Roma «con una richiesta di verifica sulle liceità dei comportamenti e degli atti adottati dalla Commissione e dai suoi componenti».

Bisi si è difeso dagli attacchi dell’Antimafia con lo stesso vigore che ha dimostrato nei confronti di don Luigi Ciotti, il fondatore di Libera che ha messo in relazione stretta ’ndrangheta e massoneria sulla scia delle inchieste della Procura di Reggio Calabria.

La polemica e i continui battibecchi fra la presidente Bindi e il Gran Maestro Bisi, entrambi senesi, hanno animato le audizioni e hanno fatto passare in secondo ordine i contrasti sul fronte interno della maggiore fratellanza italiana.

C’è una richiesta di dimissioni del Gran Maestro avanzata da parte di un dirigente di alto livello del Goi, il Gran Tesoriere Giovanni Esposito, commercialista napoletano di 49 anni. Esposito ha chiesto il passo indietro di Bisi in relazione al processo per ricettazione che coinvolge il leader del Goi a margine delle vicende del Mps.
L’udienza preliminare dove si doveva decidere sul rinvio a giudizio di Bisi chiesto dalla Procura di Siena è slittata dal 16 febbraio a giovedì 6 aprile, quando questo numero dell’Espresso era in stampa. Ma anche in caso di rinvio a giudizio, Bisi resterà al suo posto a Villa del Vascello. Non è detto che lo stesso capiti a Esposito sul quale pende una tavola d’accusa massonica per la sua presa di posizione contro il Gran Maestro.

«Non mi sembra il caso», dice Bisi, «di soffermarsi sui processi disciplinari interni. Nella nostra comunione in questo momento ci si occupa di altro. In Calabria, Sicilia o Umbria, siamo tutti molto coesi in difesa del gruppo. Se fratelli di altre obbedienze come gli Alam o la Gran Loggia Regolare hanno apprezzato il nostro atteggiamento, non può che farmi piacere soprattutto in rapporto a come si sono comportati i loro Gran maestri davanti al presidente Bindi».

La stoccata non troppo fraterna è riferita all’apparente disponibilità di Binni e di Venzi a consegnare gli elenchi alla Commissione dietro un semplice ordine di presentazione. Venzi, in particolare, ha dichiarato nell’audizione del 24 gennaio che la sua obbedienza ha l’abitudine di consegnare due volte all’anno gli elenchi al ministero dell’Interno, mentre le liste locali vengono recapitate alla Digos, ai carabinieri e alle prefetture delle varie province.

In realtà né Binni né Venzi hanno rispettato la data ultimativa di consegna chiesta dalla Commissione (8 febbraio) e hanno consegnato le liste solo con l’intervento della Guardia di finanza.

Riti paralleli
Fra gli elementi di scontento all’interno del Goi non c’è soltanto la vicenda personale del Gran Maestro. Oggi come ieri la massoneria vive di un contrasto fra la tendenza esoterica e l’ambizione di entrare in un circuito privilegiato che garantisce relazioni di potere e affari più o meno legittime.

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Il luogo dove si coltivano questi rapporti non è tanto la loggia, quanto i riti che si affiancano alla libera muratoria diventando a volte realtà incontrollabili. È il caso dell’iniziazione descritta dal collaboratore di giustizia calabrese Cosimo Virgiglio, che ha raccontato al pm reggino Giuseppe Lombardo di essere stato sottoposto a un rito detto “penta”, spogliato e chiuso per sette ore in una cella con uno scheletro.

«I riti vanno distinti dall’Ordine iniziatico», dice un membro pugliese del Goi e del Rito simbolico italiano dietro garanzia di anonimato. «La massoneria prevede solo i primi tre gradi, che peraltro non vanno considerati in modo gerarchico come fanno i più, e finisce qui. I riti sono associazioni satellite e accessorie alla massoneria, autonome ma non indipendenti, che hanno il ruolo di approfondire determinati aspetti della massoneria con una chiave di lettura propria. Questa chiave è l’esoterismo iniziatico, che può essere di origine cavalleresca, come nel caso del Rsaa o del rito di York, ovvero egizio nel caso di Memphis e Misraim. Il Rito Scozzese si picca di fornire una formazione completa dell’adepto ma in realtà in Italia dietro la facciata spiritualistica si nasconde una vera e propria scuola di potere che dal dopoguerra ha determinato la politica del Goi.

I calabresi che tengono in vita Bisi sono patologicamente fissati con l’appartenenza e sono quasi tutti nel Rsaa. Fanno favori a tutti i livelli e affari solo agli alti livelli e non mi riferisco all’Italia ma al mondo intero. Va ricordato che il Rito scozzese è nato negli Stati Uniti e ha due case madri, Washington e Boston. La nostra disgrazia fu che nel dopoguerra il Rsaa americano intervenne pesantemente in Italia. Per fare decollare il movimento le logge dovettero subire l’imposizione di gente come Giovanni Alliata di Monreale nel Goi o Giuseppe Pièche fra gli Alam, vale a dire l’estrema destra, perché si era in clima di guerra fredda. L’unico che usò il Rsaa senza esserne usato fu Gelli».
Oggi il Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese nel Grande Oriente è un imprenditore con mille interessi in Italia e all’estero come Leo Taroni.

Ravennate, 69 anni, costruttore, immobiliarista e commerciante, Taroni è stato nominato alla guida del rito più prestigioso nel dicembre del 2015 e presiede la confederazione europea dei Supremi consigli.
Il Sovrano Gran Commendatore è azionista di minoranza di Forza Rossa, concessionaria della Ferrari e della Lotus in Romania, Serbia, Montenegro e Moldova. La maggioranza di Forza Rossa appartiene a Ion Bazac, ministro socialdemocratico della Sanità nel 2008 e 2009 con il governo guidato dal liberaldemocratico Emil Boc.
Taroni è reduce da una lite con un imprenditore reggiano per l’acquisto di una Ferrari FXX K da 2,2 milioni di euro. Dopo avere rischiato di perdere la concessione con Maranello, il numero uno del Rsaa versione Grande Oriente, ha chiuso la faccenda con poco danno e una transazione. «Nessuno ci ha rimesso nulla», ha dichiarato Taroni al Corriere della Sera. «Sono stati restituiti i soldi».

Tutto è bene quel che finisce bene. Ma se si trattava di dare della massoneria un’idea diversa da una rete di relazioni a fini affaristici, è un’occasione persa.

L’ESPRESSO

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