La sfida è la stabilità del debito
L’impressione della paralisi politica è stata piuttosto evidente nella conferenza stampa del governo ieri sera. Sapevamo già alla vigilia che le scelte economiche importanti per il 2018 sarebbero state rinviate a ottobre; c’erano anche motivi di politica europea per far così. Ma ha colpito la mancanza di dettagli sulle misure immediate, sulla «manovrina»: e qui il problema è tutto italiano.
E’ anche vero che una parte rilevante delle risorse sarà raccolta con la lotta all’evasione. Però occorre ragionare su perché le uniche misure adottate contro l’evasione, come già dal governo Renzi, siano quelle («split payment» dell’Iva e simili) che non risultano immediatamente impopolari. Questo unico spiraglio rimane aperto a una politica debole.
Lo stesso ministro dell’Economia confessa un’altra difficoltà.
Se da una parte si conferma l’obiettivo di ridurre la pressione fiscale, certi tagli di spesa (all’opposto di quanto propagandato negli anni scorsi da alcuni economisti) esercitano un freno alla crescita che nell’immediato è più sensibile. Il «no a nuove tasse» diventa arduo proprio quando un governo ha il fiato corto.
Al momento abbiamo solo l’assicurazione che gli impegni europei saranno rispettati, e l’annuncio rassicurante di un deficit 2017 limitato al 2,1%. Si insiste che continua una politica di incisive riforme, mentre abbiamo un Parlamento che stenta ad approvare riforme dell’era Renzi, come quella della giustizia o la legge sulla concorrenza. Sulle riforme ulteriori, la maggioranza è divisa.
E’ possibile che un segnale importante al mondo, la stabilizzazione del debito in rapporto al Pil al temine del 2017, venga dato cedendo quote di aziende alla Cassa depositi e prestiti, ente che di fatto è pubblico ma formalmente no. Si prenderebbe tempo dato che la maggioranza anche qui è divisa.
Per contrastare le resistenze ideologiche della sinistra, e l’ostilità dei sindacati, sarebbe utile avere un progetto chiaro su perché e come privatizzare aziende come Ferrovie e Poste che in parte svolgono compiti sussidiati di servizio pubblico. In entrambi i casi, non è semplice decidere in quali campi è meglio operi la logica del profitto e in quali no; occorrerebbe riuscire a discuterne.
D’altra parte, questa maggioranza scompaginata non è certo spinta alla chiarezza da opposizioni che o ripetono vecchi espedienti retorici (buco, stangata, numeri truccati) o propongono alternative insostenibili. Sia la maxi-riduzione fiscale chiesta dalla Lega Nord sia il reddito di cittadinanza proposto dai 5 stelle costerebbero decine di miliardi. L’uscita dall’euro porterebbe alla bancarotta.
L’obiettivo sensato di calare fortemente le tasse (specie sul lavoro) si attua solo sapendo scontentare i tenaci interessi particolari che difendono ogni brandello della spesa pubblica. Non ci sono riusciti né Silvio Berlusconi all’apice della sua forza né Matteo Renzi nella sua battagliera fase iniziale. Tanto meno si può sperare in assetti politici fragili come quelli che ci troviamo di fronte.
LA STAMPA