Scoppia la guerra tra procure e Napoli fa quadrato sul Noe
L a procura di Napoli conferma la fiducia al Nucleo operativo ecologico (Noe) dei carabinieri, che continuerà ad occuparsi di Consip.
Scelta che suona come la risposta alla clamorosa indagine dei pm di Roma Mario Palazzi e Paolo Ielo sul capitano – proprio del Noe – Giampaolo Scafarto, accusato di aver truccato le carte per mettere nei guai Tiziano Renzi e il figlio ex premier Matteo.
La guerra tra procure serpeggia da tempo, malgrado rassicurazioni e smentite, e ha avuto conferma il 4 marzo, quando l’ufficio della Capitale guidato da Giuseppe Pignatone, ha tolto il filone principale dell’indagine Consip ai carabinieri del Noe per affidarla a quelli romani, per le troppe fughe di notizie. Una mossa che sembrava adombrare il sospetto che da Napoli fosse arrivata un’inchiesta manipolata. Ora, con il capitano Scafarto indagato per falso, il sospetto trova basi serie. Può aver fatto tutto da solo il carabiniere che ha fatto carriera tra Salerno e Napoli? Oppure, seguiva un disegno preciso e aveva dei complici? E dunque il suo nucleo, il Noe, non dovrebbe essere «bonificato»?
C’è chi parla anche di una faida interna all’Arma. Scafarto è considerato allievo del «capitano Ultimo» Sergio De Caprio, rimosso dal Noe proprio dal comandante generale Tullio Del Sette, che è indagato nell’inchiesta Consip con l’accusa di aver informato l’ad Luigi Marroni delle indagini in corso. Anche in passato (inchiesta metanizzazione a Ischia) ha lavorato con i pm Henry John Woodcock e Celeste Carrano, titolari delle indagini sull’immobiliarista Alfredo Romeo, arrivate a lambire i piani alti della politica, con successivo trasferimento a Roma del filone più importante.
Comunque, sembra una sfida il fatto che la Procura di Napoli confermi la delega sul troncone napoletano Consip al Noe, che continuerà a lavorarvi con finanza e carabinieri del comando provinciale.
Prima dell’interrogatorio di Scafarto, Pignatone ha telefonato al procuratore facente funzione di Napoli Nunzio Fragliasso per avvertirlo. Una cortesia apprezzata, ma seguita dal contrattacco. L’ufficio, tra l’altro, è in attesa della nomina del successore di Giovanni Colangelo, mandato in pensione dal governo, tra mille polemiche e i candidati sono il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho (Unicost) e Giovanni Melillo (Area), che ha strategicamente lasciato il posto di capo di gabinetto del Guardasigilli Andrea Orlando.
Si fa notare, nella procura partenopea, che se pure fossero stati commessi errori da Scafarto, non avrebbero ripercussione sulle indagini napoletane, separate da quelle romane. Solo che non si parla di «errori», ma di intenzionale falsificazione delle intercettazioni, di un «complotto» contro il governo (è coinvolto anche il ministro Luca Lotti) e il Pd, il cui leader Renzi lavora per rientrare a Palazzo Chigi. E le carte false le hanno scoperte i pm romani, mentre quelli napoletani vi hanno costruito sopra un teorema. Difficile negare che si tratti di uno scontro tra toghe ai massimi livelli, superato forse solo dal «caso De Magistris» del 2008, quando Salerno e Catanzaro si litigarono gli atti delle inchieste «Poseidone» e «Why Not».
A mettere altro sale nella vicenda è il difensore di Scafarto (che non ha risposto ai pm). Giovanni Annunziata dice che i fatti contestati al capitano vanno «contestualizzati all’interno della più ampia attività investigativa svolta» e bisogna dimostrare che ci sia stato «dolo» per accusarlo di falso. Insorge il Pd. David Ermini definisce le frasi «sconcertanti». «Se invece del dolo ci fosse stata una disattenzione o un errore, sarebbe meno grave?».
IL GIORNALE