Indifesi e con le mani in alto: ci siamo arresi in casa nostra
Champs Elysées, Parigi, l’ultimo attacco terroristico. La Francia in questi anni è stata insanguinata più volte, ma gli jihadisti hanno colpito in serie ovunque, dalla Germania al Belgio alla Gran Bretagna: oltre 600 attentati solo nel 2016 e sono destinati ad aumentare.
La sicurezza è ormai un ricordo lontano. E oggi non ci meraviglia quell’immagine di due persone che sugli Champs Elysées alzano entrambe le mani, come se si arrendessero a un nemico sconosciuto e invincibile. Quella foto è il paradigma di un’Europa che alza bandiera bianca, che abbandona i suoi cittadini-sudditi alla paura, che ritiene più importante sproloquiare di massimi sistemi (come tappare lo sfintere alle mucche perché le loro emissioni sono inquinanti) invece di affrontare la catastrofe sicurezza.
Siamo qui a ripetere sempre le stesse cose, ma non smetteremo di farlo. Gli jihadisti operano in un territorio dove godono di una certa impunità e di una copiosa connivenza negli ambienti dell’islam radicale. Tutta colpa dell’immigrazione? Non proprio, ma sul mancato controllo del fenomeno, ormai inarrestabile, ci sono gravi responsabilità. È vero, non tutti gli immigrati musulmani sono terroristi, ma aprire indiscriminatamente le porte a tutti, aumenta il rischio di infiltrazioni. Non basta. Ci siamo mai domandati come gli jihadisti possano circolare liberamente, trovare armi e rifugi sicuri? Perché di certo c’è qualcuno che, anche se non partecipa attivamente alla loro guerra santa, li aiuta, li nasconde, non li denuncia. Ed è grazie a questo clima di connivenza che possono continuare ad agire quasi indisturbati. E più riescono ad affollare le nostre città, più si allarga la possibilità che non solo trovino simpatia e sostegno in certe comunità, ma che possano anche fare opera di proselitismo e arruolare nuovi «martiri», cioè assassini senza scrupoli. D’altronde, ci siamo arresi, senza sparare un colpo. Basta guardare che cosa accade ogni giorno. E non parliamo solo di terroristi islamici. Tutti ricordano il caso di Igor «il serbo» (non era russo) che dopo aver assassinato due persone si è dato alla macchia. Il killer di Budrio era già stato in carcere per numerose rapine, aveva avuto due decreti di espulsione, eppure era ancora libero di circolare e uccidere. Nessuno si era preso la briga di rispedirlo a casa e controllare che ci restasse. Con gli jihadisti accade la stessa cosa, solo che non sono un lupo solitario come il killer di Budrio, sono tanti, disseminati in tutta Europa, con armi ed esplosivi e possono contare sul sostegno e la solidarietà di tanti amici insospettabili. Di fronte a questa minaccia che cosa fanno i governi europei? Tranne qualche eccezione, navigano a vista. L’opera di prevenzione, per quanto meticolosa e impegnativa, è solo una toppa se non si risolve il problema alla radice. E qual è la madre di tutti i problemi? Che sono troppi e non siamo in grado di controllarli. Non solo quelli già presenti, ma neppure tutti quelli che arrivano e che continueranno ad arrivare. Sono entità sconosciute. Dovremmo chiudere i confini, come hanno fatto altri Paesi europei più intelligenti del nostro. E ci fa ridere il signor Angelino Alfano quando afferma che «chiudere le frontiere non ci rende più sicuri», evidentemente non ha la vista abbastanza lunga per vedere cosa accade nei Paesi che lo hanno fatto. D’altronde, oggi parlare di confini chiusi è una bestemmia e attira gli strali di tutta quella intellighenzia politicamente corretta che dal salotto di casa pontifica sulla solidarietà. Una schiera di «buonisti» un tanto al chilo che non soltanto vuole continuare a spalancare le porte a un universo che nasconde gravi rischi, ma ci obbliga addirittura a imbarcare, a spese nostre, tutti quelli che desiderano venire qui, poco importa quale sia il motivo che li spinga. Di fronte a tutta questa ottusità restiamo senza parole e si insinua in noi il malsano desiderio di alzare le mani in segno di resa, come hanno fatto a Parigi. Ma non intendiamo farlo. E continueremo a gridare, finché avremo voce, che gli imbecilli non siamo noi.
IL GIORNALE