Adriatico di plastica

davide lessi, raphaël zanotti
torino

Mozziconi di sigarette, bottiglie di vetro, contenitori per alimenti. E poi tanta plastica, troppa. Ogni due passi fatti sulla sabbia si trova un rifiuto. A raccontarlo è il primo studio sulla spazzatura marina realizzato da nove enti di ricerca e sette Stati (Italia, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Grecia, Montenegro e Slovenia) affacciati sul mar Adriatico e sullo Ionio. Tra i granuli i residui di plastica rappresentano il 91% dei 70 mila campioni analizzati su un totale di oltre 18 chilometri di coste. Un problema che non riguarda solo i bacini adriatico e ionico, ma tutto il Mediterraneo. Tant’è che in qualche ricerca già si parla di «plastic soup», la «zuppa di plastica».

 Tra i tanti, un dato che colpisce del report Marine litter assessment in the Adriatic and Ionian Seas è il numero di cotton fioc: i bastoncini cotonati sono il terzo rifiuto più trovato nei 31 siti costieri studiati. «Un dato che ha impressionato anche noi», ammette il ricercatore dell’Ispra Tomaso Fortibuoni, 37 anni, uno dei due italiani autori della ricerca internazionale finanziata dall’Ue. «Potrebbe essere dovuto alla cattiva abitudine di gettare i bastoncini di plastica negli scarichi domestici.

Ma è strano: chi gestisce i depuratori ci ha assicurato che i filtri dovrebbero fermarli», dice lo studioso ora in “prestito” all’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste. «Oppure i cotton fioc potrebbero esseri portati dai fiumi o provenire dagli scarichi delle navi di crociera», scrive su rivista Micron (dell’Arpa Umbria) la studiosa di scienze ambientali Simona Marra, una delle prime ad analizzare le circa 170 pagine del report.

 

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La ricerca è stata organizzata su tre piani (qui sotto rappresentati in 3D). Oltre alla spazzatura sulle spiagge si è presa in considerazione quella sulle superfici acquatiche e, terzo livello, la spazzatura sul fondo del mare. In media su ogni chilometro quadrato di acqua galleggiano 332 rifiuti: per il 40% sono sacchetti e pezzi di plastica; più di uno scarto su dieci (il 12,5%) inoltre è rappresentato da pezzi di contenitori di polistirolo usati per il pesce.

 

Tra i siti più inquinati il Golfo di Venezia, sia sulla superficie che sui fondali. In questi, nella parte meridionale, si superano anche i 1000 oggetti per chilometro quadrato: il doppio rispetto la media. «L’alta densità è dovuta a diversi fenomeni», spiega Francesca Ronchi, 45 anni, ricercatrice dell’Ispra e altra italiana autrice del report. Dallo studio di Chioggia elenca tre fattori: «La vicinanza con i grandi centri urbani, Venezia appunto, la particolare corrente “anti-oraria” che c’è in questa parte dell’Adriatico e la foce del Po che getta in mare i rifiuti raccolti lungo il suo corso».

 

«L’Adriatico, come il Mediterraneo, è un mare chiuso con una costa densamente popolata. I costi legati alla plastica e all’inquinamento sono tanti: pensate solo alla pulizia delle spiagge dopo le mareggiate», conclude il ricercatore Fortibuoni. Rischi di cui l’Italia solo negli ultimi anni sembra essersi resa conto. Con lo stesso ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, che pochi giorni fa ha definito la spazzatura marina «una delle principali minacce all’ecosistema».

LA STAMPA

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