La classifica dei gonzi
Le classifiche, specie se stilate secondo metodi scientifici, non valgono niente. Se n’è avuta la riprova quando il Cies, osservatorio indipendente del calcio, ha stabilito che fra i cento migliori dribblatori non c’è Cristiano Ronaldo: un sistema di algoritmi e data base offre la verità scientifica per cui marcare il fuoriclasse del Real è più facile che marcare Daniele Croce dell’Empoli, piazzato 45
al mondo. C’è di meglio. Qualche anno fa una classifica elevò terza in Italia la facoltà di ingegneria dell’Università Foro Italico, che non ha la facoltà di ingegneria. È strana, in un mondo vorace di fatti alternativi, l’adesione fideistica alle classifiche, redatte da enti dai nomi inflessibili.
Se Reporters sans frontières dice che siamo 77
o 52
per libertà di stampa, è così e basta (almeno finché lo studio non ti mette fra i cattivi, com’è successo a Beppe Grillo). In pochi, però, vanno a vedere chi elabora la graduatoria e con quali criteri. Finalmente si scopre l’arcinoto: la libertà di stampa è stimata da Rsf essenzialmente attraverso questionari le cui risposte sono, dunque, soggettive e non oggettive. Infatti è bizzarro che la Giamaica risulti avere una stampa più libera dell’Islanda. Prima o poi si scoprirà che anche la classifica della corruzione di Transparency, che ci punisce sempre, si fonda sulla corruzione percepita: è come se io calcolassi il riscaldamento globale in base a quando mia moglie toglie il piumone dal letto. Ma uno saggio ha scritto che in Italia siamo primi in classifica fra chi crede alle classifiche.