Alitalia, ora non basta più il prestito ponte di 400 milioni
Potrebbero non bastare per i prossimi sei mesi i 400 milioni di prestito ponte ad Alitalia per evitare lo stop dei voli. L’intervento dello Stato a condizioni di mercato è stato messo in campo «a condizione che si faccia un lavoro di vendita», ha detto il ministro Carlo Calenda, che ha comunque escluso un ulteriore impegno pubblico. Il problema però a cui vanno incontro i tre commissari che verranno nominati dal governo è che dovranno preparare un nuovo piano industriale per la compagnia in meno tempo di quanto non abbiano fatto i precedenti manager e con molti meno soldi, che non sarebbero sufficienti. La strada per trovare una soluzione per Alitalia è sempre più stretta, mentre l’acquirente più papabile, Lufthansa, smentisce l’ipotesi di un suo interessamento.
Nei corridoi di Fiumicino non hanno però sorpreso più di tanto le parole della compagnia tedesca. Chi sta seguendo da dentro la partita sa che l’azienda è una società quotata e non può certo scoprire le carte quando il terreno è ancora minato e quando non è chiara la strada che verrà intrapresa. I contatti tra le due compagnie ci sono stati, spiegano alcune fonti, e l’interesse di Lufthansa per il vettore italiano potrebbe essere congelato, in attesa che tra qualche mese la situazione diventi più chiara e soprattutto l’acquisto più conveniente. Invece le Ferrovie dello Stato sembrano sfilarsi con più decisione assicurando che «in questo momento l’argomento Alitalia non è di interesse e la società non è stata contattata da nessuno».
Ieri intanto sono stati avviati una serie di passaggi in vista dell’assemblea dei soci Alitalia in programma il 2 maggio per deliberare l’avvio dell’amministrazione straordinaria. Il ministro Pier Carlo Padoan ha assicurato che i commissari (è quasi certo il nome di Luigi Gubitosi) saranno nominati «con la massima tempestività». Sono due le opzioni che ora si aprono per Alitalia e passano entrambe per il commissariamento. Da un lato l’ipotesi è quella di una gestione «lacrime e sangue» con il taglio di circa 6 mila lavoratori, la metà degli attuali dipendenti, e il tentativo di vendere una compagnia ridimensionata a un acquirente estero, come Lufthansa, che ha uno stretto legame commerciale con Etihad, l’azionista di peso di Alitalia. In mancanza dell’interesse di un terzo, la soluzione (che il governo vuole evitare) è la liquidazione e la svendita pezzo per pezzo della compagnia. L’altra strada è invece la riapertura di una trattativa tra l’azienda in commissariamento e i sindacati per arrivare a un accordo sul taglio al costo del lavoro più soft di quello bocciato al referendum, ipotesi che vedrebbe in campo ancora Intesa SanPaolo a fare da banca di sistema. Ma anche qui servirebbe un partner industriale. L’amministratore delegato di Intesa, Carlo Messina, ha detto che «non esiste un piano B portato avanti da Intesa», ma «qualunque soluzione possa garantire la continuità aziendale di Alitalia e quindi possa salvaguardare i posti di lavoro sarebbe da percorrere».
Di sicuro non ci sarà un coinvolgimento delle Ferrovie né della Cassa depositi e prestiti. Da Abu Dhabi intanto trapela irritazione per le critiche ricevute negli ultimi giorni dal governo. Il ministro Delrio ha però spiegato oggi che Etihad non ha deluso con l’operazione Alitalia, anzi «dobbiamo ringraziare gli azionisti emiratini perché hanno investito e mantenuto fede ai loro impegni».
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