L’équipe di Trento che cura i sacerdoti pedofili e alcolisti
Trento -L’impressione è quella di un altro mondo in questo mondo. Una strada stretta dal nome gentile, via dei Giardini, che curva dopo curva sale verso un quartiere residenziale di Trento, case non lussuose ma tranquille e a pochi passi dal centro storico. Il cancello è sempre aperto. Non si esce dalla città, il castello del Buonconsiglio è proprio ai piedi della collina a qualche centinaio di metri, ma si entra in uno spazio diverso, silenzioso, appartato, dove i guai del mondo vero vengono visti da un punto di vista differente.
Una targa di pietra indica che la vasta proprietà (villa Mezzena) chiusa in una cinta di pietre bianche, siepi e filo spinato, ospita la Congregazione di Gesù sacerdote fondata un centinaio d’anni fa da padre Mario Venturini. Su un’altra lapide appesa al muro di fronte sopra tre fioriere di pietra è scolpito un passo del Vangelo di Matteo: «Non preoccupatevi né del cibo né del vestito – si legge tra l’altro – cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e avrete tutto il resto di soprappiù».
È un bel viatico per chi varca questa soglia. La vocazione dei padri Venturini è di sostenere la vocazione dei preti. Nei loro statuti primeggia l’impegno ad accogliere «tutti i sacerdoti che desiderano rivivere con rinnovato slancio la loro consacrazione». A partire da quelli in crisi: l’Annuario statistico vaticano segnala 43 sacerdoti nel 2013 e altrettanti nel 2014 (su quasi 32mila preti diocesani) che hanno chiesto la dispensa dal ministero per sposarsi o perché si ritrovano incapaci di reggere le responsabilità di una parrocchia. La dispensa consente loro di restare nella Chiesa e accedere ai sacramenti, matrimonio compreso. In Italia sarebbero tra gli ottomila e i diecimila i preti sposati.
L’ANONIMATO
Ma poi c’è il sommerso di chi non arriva a un passo così estremo per irrisolutezza, vergogna, ritrosia, e magari ottiene semplicemente periodi sabbatici per superare difficoltà e dubbi. Fino ad arrivare ai disagi più gravi, perché i consacrati non sono così diversi dai poveri cristi che dovrebbero guidare alla fede: preti pedofili, ludopatici, depressi, alcolisti, con disturbi della personalità. Oppure in crisi a causa di una donna, o più di una. Nei mesi scorsi era girata la voce che nella casa madre dei Venturini fosse ospitato anche don Andrea Contin, la tonaca di Padova che collezionava amanti e orge.
I vertici della congregazione trentina negano che il prete veneto sia stato mandato da loro. Non gradiscono la pubblicità e in generale non amano che si parli di loro. Aprono le porte più volentieri a un prete zoppicante che a un giornalista. Tuttavia la statua di Gesù che troneggia nel giardino davanti all’ingresso benedice tutti, la cappella è aperta a chiunque per gli appuntamenti liturgici: la messa e le lodi alle 7, l’ora media alle 12, l’adorazione alle 18.30 seguita dai vespri. Il sabato la messa è alle 7.30 e la domenica alle 9; ci si riposa un po’ di più. Per il resto, il superiore generale padre Carlo Bozza congeda gli indesiderati con un «pace e bene» cordiale ma irremovibile. Preferisce garantire la piena riservatezza degli ospiti che raccontare il percorso di recupero che lui e i confratelli predispongono per i preti più peccatori. In curia a Trento riferiscono che i Venturini non sono molto coinvolti nella vita della diocesi. Anche il settimanale diocesano, Vita trentina, e Avvenire, il quotidiano dei vescovi, sono stati tenuti alla larga. Il riserbo è assoluto. Nemmeno i religiosi che vivono nella casa madre di Trento conoscono quale storia abbiano alle spalle gli ospiti.
Il sostegno ai preti in crisi (compresi quelli che hanno lasciato la tonaca o vogliono farlo) non è l’unica attività dei Venturini, anche se la vicinanza ai sacerdoti è il loro compito principale. Sono anche confessori e predicatori di esercizi spirituali. Nelle altre nove case della congregazione, sei in Italia e tre in Brasile, nello stato di São Paulo, si tengono corsi di spiritualità per religiosi e laici, si accolgono gruppi parrocchiali, si assistono preti anziani e malati, si fanno ritiri per i movimenti e riunioni di preti diocesani.
LE CLINICHE
L’istituto ha missioni, riviste, pubblicazioni; esiste anche un ramo femminile di suore, le Figlie del cuore di Gesù. «È riduttivo parlare di noi soltanto perché accogliamo preti depravati», fa sapere padre Gino Gatto, assistente generale e superiore della casa di Zevio (Verona), un’altra oasi di tranquillità stavolta però in piena campagna dove si formano i seminaristi della congregazione.
I Venturini rifiutano queste etichette sbrigative di cliniche per preti gay o pedofili; è una questione di rispetto per chi arriva da loro per problemi meno gravi. D’altra parte, in Italia non sono gli unici ad affrontare queste situazioni. A Roma hanno sede l’associazione Ministri della misericordia e l’Oasi di Elim dell’Apostolato salvatoriano; a Collevalenza (Perugia) la Comunità della famiglia dell’Amore misericordioso ha una casa con 25 posti letto destinati a preti in crisi.
La comunità Monte Tabor di Pomezia (Roma) è stata visitata da Papa Francesco il 17 giugno dell’anno scorso nell’ambito dei Venerdì della misericordia durante il giubileo straordinario. Al santuario di Caravaggio (Bergamo) è aperto un «consultorio» per consacrati accanto al più tradizionale consultorio familiare, che è punto di riferimento per i preti in crisi delle diocesi di Milano, Crema, Cremona, Bergamo, Lodi, Brescia. Anche in questo caso l’attività non si limita a fornire sostegno ai religiosi in difficoltà ma anche a formare laici, catechisti, direttori spirituali, psico-pedagogisti.
«Nel paradiso, dove spero un giorno di essere ammesso per la infinita misericordia di Gesù – scrisse padre Mario Venturini in una lettera del 1943 -, non mi riposerò finché ci sarà un sacerdote da aiutare sulla terra». Fedeli a questa consegna, i religiosi trentini sono diventati negli anni una comunità specializzata nell’affrontare i casi più difficili. Pochissimi altri nella Chiesa hanno maturato queste competenze. Padre Venturini, il fondatore nato a Chioggia (Venezia) nel 1886 e morto a Trento nel 1957, sintetizzò così lo scopo della congregazione che prese avvio nel 1912: «Aiutare con ogni mezzo i membri del clero a vivere all’altezza della loro dignità».
L’ACCOGLIENZA
Nei testi fondativi si parla di accoglienza, «aiuto fraterno di conforto e ripresa» in campo spirituale e psicologico, fatto di alternanza tra preghiera, studio e lavoro. La casa di Trento ospita una grande biblioteca ma anche un laboratorio di cellofanatura; dietro la casa madre si estende un vigneto e c’è da curare anche il giardino. Il lavoro è sia un mezzo per sostenere l’opera sia uno strumento educativo. Ma il recupero di preti ed ex preti è affidato anche a psicologi e psichiatri specializzati nell’affrontare il male di vivere dei religiosi. Uno di loro è padre Gianluigi Pastò, superiore generale dal 2010 al 2016. «La difficoltà che c’è sempre stata e che oggi si sente di più – ha detto a Telepace in una delle rarissime interviste concesse – è un senso di solitudine, anche pastorale. Il prete si trova con varie realtà, con più parrocchie da seguire e da accompagnare, e non trova sempre un referente anche nei superiori o nei confratelli per potersi confrontare». Preti soli, carichi di responsabilità, con chiese quasi vuote ma richieste di aiuto sempre più numerose. «Le altre realtà di sofferenza e difficoltà – aggiungeva padre Pastò – sono comuni a ogni persona del nostro tempo, legate all’affettività e alle relazioni non sempre facili con il mondo giovanile o altri aspetti della società di oggi. Noi offriamo accoglienza nelle nostre comunità, tutte disponibili a dare aiuto, alcune anche per tempi più lunghi con un accompagnamento specifico adatto alla situazione personale e ai problemi psicologici di ciascuno. Non neghiamo conforto a nessuno».
I preti che arrivano qui vengono quasi sempre indirizzati dalle diocesi e il superiore ha un rapporto diretto con i vescovi, i primi a valutare la gravità del caso anche se spesso non sanno che cosa fare. L’approccio dei Venturini è soft, si cerca di conoscere chi si ha di fronte per capire se si è in grado di prestare un aiuto efficace. In certi casi l’accoglienza equivale a una custodia: è capitato che l’istituto sia stato indicato come luogo dove un prete potesse scontare gli arresti domiciliari per avere commesso abusi o irregolarità economiche nella gestione della parrocchia. E la prima terapia è quella di ritrovarsi non più da soli, ma in una comunità di persone che non giudicano il passato di chi hanno davanti.
IL GIORNALE