Regione rosse, giù l’affluenza. Ma Renzi si prende la “ditta”
I numeri veri delle Primarie Pd raccontano due fenomeni in controtendenza rispetto alle letture a “caldo”. Il primo: Matteo Renzi è diventato il capo della “nuova ditta”. Perché oltre ad attestarsi attorno al 70 per cento nazionale, stravince (con percentuali più alte della media) proprio nelle regioni rosse (Emilia, Toscana, Umbria), dove il “Partito” di una volta ancora esiste. E dove gli anziani militanti continuano a pensare che in un partito degno di questo nome «si sta col segretario». Se Renzi è diventato il padrone del primo cerchio, al tempo stesso prosegue il “ricambio del sangue” nel secondo cerchio: quello degli elettori. L’insediamento sociale del partito continua a cambiare.
Il calo degli elettori
Certo, per letture empiricamente attendibili occorrerà attendere ricerche sul campo. Ma alcuni dati parlano da soli. Il primo riguarda i partecipanti : se sarà confermato che domenica scorsa i votanti sono stati 1.848.658, questo significa che sono mancati all’appello un milione di elettori rispetto alle primarie del 2013. Allora i votanti erano stati 2.805.695. In cifre assolute, meno 957 mila. In percentuale, meno 34 per cento. Uno su tre. Una flessione che si riflette sui consensi per il segretario. Quattro anni fa Matteo Renzi fu votato da 1.895.000 voti, stavolta da 1.283.000, anche se i dati ufficiali saranno comunicati oggi. Certo, si tratta di dati che vanno “tarati” su un contesto politico che è cambiato: il clima anti-politico degli ultimi mesi è molto più diffuso di quello del 2013.
Il bacino del Pd
Ma un altro dato è eloquente: nelle elezioni Europee del 2014 undici milioni e 200mila elettori votarono il Pd di Matteo Renzi; domenica scorsa gli elettori che hanno scelto Renzi sono stati un milione e 283mila. Mancano 10 milioni di elettori. Allora il premier “parlava” e intercettava elettori di sinistra, moderati e anche di centro destra: quel “bacino” quanto si è ristretto? Dice Roberto Weber, sondaggista fondatore della Swg: «Renzi, nel “ridotto” della sua coscienza, è capace di capire che i novecento mila voti in meno rispetto alla scorse primarie significano che si è affievolita la sua capacità di impatto sull’elettorato di opinione? Intuisce che, di conseguenza, la possibilità di sfondare in quell’area di elettori che dicono di essere “nè di destra nè di sinistra” si è rarefatta?».
La disaffezione
Significativo che il calo di partecipazione più alto si sia registrato proprio nelle regioni rosse, nel serbatoio inesauribile del partito, che – via via – è stato il più forte a sinistra: il Pci, il Pds, l’Ulivo, il Pd. In Emilia Romagna si passa da 405.505 votanti nel 2013 a 216.000 mila, il 47 per cento in meno. In Toscana da 393.513 a 210.897. In Umbria dal 71.176 a 40.562. Nelle Marche da 93.486 a 47.350: meno 49,4 per cento. Chi sono questi elettori così “disaffezionati”? Insegnanti delusi da Renzi? Elettori non di sinistra “sedotti” dal primo Renzi e ora disillusi? Servirà tempo e ricerche specifiche per capirlo, ma è evidente che non si tratta soltanto dei seguaci degli scissionisti di Bersani e D’Alema, visto che i sondaggi sulle intenzioni di voto quotano Articolo 1 su percentuali sotto il 5 per cento.
I militanti con Matteo
Ma l’altro dato eclatante è che Matteo Renzi, sempre così insensibile alle logiche del partito tradizionale, è diventato il padrone dell’apparato. Soprattutto nelle zone chiave: regioni rosse e regioni del Sud dove il voto clientelare è più forte. Nella sua Toscana Renzi ha ottenuto l’81% a Firenze sud e l ’84,5% nel rossissimo Empolese. Renzi è sopra la media nazionale anche in Emilia (74 per cento), nelle Marche (77,9%) e in Umbria con l’80%.
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