Nell’Emilia rinata dalle macerie: “Siamo ripartiti più forti di prima”
È di nuovo maggio. Dai cancelli della Zincol di San Felice sul Panaro escono due ragazzi emozionati. Si chiamano Luigi Ausanio e Harrison Chiesi, 18 e 20 anni, hanno in mano il primo contratto di lavoro della loro vita. Saranno operai nella fabbrica che doveva morire. «Siamo in prova, speriamo bene», dicono un po’ scaramantici dopo aver firmato. «Lo stabilimento adesso è quasi tutto automatizzato, ma ci sono operazioni di aggancio delle lastre che dobbiamo fare durante la lavorazione».
La zincatura di buona parte dei guard-rail delle strade italiane viene fatta nella zona che è stata l’epicentro del disastro. E se potesse essere un caso di scuola, il terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna porterebbe in dote altre notizie incoraggianti. Nove famiglie su dieci sono rientrate nelle loro abitazioni. Erano in tutto 16.973: restano in affitto pagato 2843. Nessuno vive più nei moduli abitativi detti Map, le casette prefabbricate simbolo della precarietà. Ma ci si accorge subito di quanto questa terra, in realtà, rappresenti un’eccezione. Il terremoto dell’Emilia è storia a sé.
Le ricostruzioni delle abitazioni private sono già completate al 60 per cento perché molti hanno potuto permettersi di iniziare i lavori ancora prima di ricevere i finanziamenti. Soldi che, adesso, stanno arrivando: 7700 progetti su 9766 hanno già ottenuto il contributo. L’orizzonte su questa bassa emiliana è fatto di gru che svettano alte, l’odore è quello della calce fresca, i trattori tagliano le campagne fra i campi di fragole e asparagi. E se ti fermi ad ascoltare, da ogni parte, puoi sentire martelli pneumatici, seghe circolari, legni che sbattono, come sottofondo delle vita normale. È la colonna sonora della ricostruzione.
Forse la storia ha preso una piega speciale perché, ancora prima di iniziare i lavori, l’Emilia Romagna ha ricostituito i suoi simboli. La casa dove fu ucciso il partigiano Silvano Marelli di Mirandola è distrutta, ma la targa in sua memoria è attaccata fuori, sulla rete di protezione che mette la zona in sicurezza: «Fiorente di giovinezza, sereno come un martire, invocando Dio, qui cadde…». Oppure, forse ha ragione Serena Cremaschi, 27 anni, barista a Finale Emilia: «La cosa bella è che il terremoto ci ha uniti molto, improvvisamente ci siamo ritrovati amici. Ma lo dico sempre: siamo terremotati fortunati. Qualcuno non capisce. Ma io sono stata all’Aquila come volontaria. So cosa è successo ad altri. Loro hanno perso tutto. Davvero tutto. E forse anche noi, in quella situazione, ci saremmo demoralizzati».
Quello in Emilia era stato un terremoto in due tempi, 20 e 29 maggio. Molte vittime stavano lavorando per rimuovere le macerie della prima scossa di magnitudo 5.9, quando sono stati travolti. Perché anche la seconda scossa era stata altrettanto devastante, quasi un colpo di grazia. Ventisette morti, 54 Comuni colpiti, le chiese crollate, le fabbriche inservibili, le forme di parmigiano fra le macerie.
Il simbolo della tragedia forse è la torre di Finale Emilia, che cadde in diretta televisiva fra un’emergenza e l’altra. Risaliva al 1213. Tutte le pietre sono state pulite, contate e conservate in ordine: 50 mila pezzi. È già stato stanziato un milione di euro, l’obiettivo è vederla ritornare al suo posto, lì dov’era, entro tre anni. Ma proprio a Finale Emilia si capisce anche come la ricostruzione stia procedendo a due velocità. Il 55% dei lavori privati è già stato portato termine: case, uffici, negozi. Sulla piazza restano solo le casette di legno del barbiere Jack e l’edicola della signora Wanna Fiori. Ma gli edifici pubblici sono ancora tutti puntellati, in attesa dei pareri delle sovrintendenze e prigionieri di un percorso burocratico molto più farraginoso.
«La ricostruzione sul versante pubblico è a zero» dice il sindaco Sandro Palazzi, eletto a giugno in una lista civica di centrodestra. «Per essere più chiaro, nulla è stato fatto», dice preoccupato. «Per il Municipio abbiamo ricevuto 6 milioni a fronte di un danno riscontrato di 14 milioni. E poi siamo troppo pochi per sbrigare tutte le pratiche». Anche il Comune è ancora in un prefabbricato. Di sette chiese danneggiate, i restauri delle prime due inizieranno in estate. Ma la speranza non se n’è mai andata da questa terra. La vedi adesso nelle tavole calde pieni di tecnici, nei furgoni dei restauratori specializzati arrivati da ogni parte d’Italia. Qui si produceva il 2 per cento del Pil nazionale. L’economia non si è mai fermata, i Paesi non hanno mai perso la loro identità. È il modello dell’Emilia Romagna di fronte alla tragedia. E adesso le ore di cassa integrazione sono azzerate.
Sulla piazza davanti al Duomo di Mirandola, dove Papa Francesco ha pregato con i terremotati, c’è un nuovo negozio. È l’agenzia immobiliare «Muri e Maestri» della signora Brunella Alvino. «Da gennaio 2017 registriamo un +15%», dice. Qualcuno sta tornando a progettare il futuro proprio qui.
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