La Trump e il Clinton
di VITTORIO ZUCCONI
Faceva un curioso effetto la zuffa teletrasmessa fra Marine LePen ed Emmanuel Macron su chi di noi ha dovuto seguire i dibattiti fra Hillary Clinton e Donald Trump. Era tutto un “déjà vu”, un tutto visto prima, ma a parti invertite: lei nei panni di lui (ma pettinata meglio), lui nei panni di lei, ma molto più giovane.
Macron era Hillary, il tecnocrate, il secchione con i ‘piani’, le cifre, i bilanci da snocciolare, ma senza carica emotica. LePen era Trump, approssimativa, sbruffona, sprezzantem demagogica ma appassionata e condiscendente nel suo “maternalismo” verso il rivale come Donald era paternalista e sprezzante. Marine LeTrump, pur figlia dello stesso establishment politico che dice di voler demolire, era l’innovatrice, la rivoluzionaria. Emmanuel Clinton era l’elite, il figlio designato delle incubatrici di super commessi dello Stato, allevati dalle Grandes Écoles e poi tenuti in caldo nei partiti tradizionali, come Hillary era il prodotto della classe dirigente Democratica che aveva dato all’America sedici anni di Bill e poi Obama.
È lo stesso scenario che ormai si riproduce nelle democrazia occidentali, il sovranista in chiave America First, o la France aux Français in questo caso, contro l’Europeista, il Mondialista e che vedremo rappresentato anche nelle prossime elezion britanniche, ma che negli Stati Uniti e in Francia, le uniche due repubbliche presidenziali o semipresidenziali nell’Occidente democratico, diventa particolarmene visibile.
Anche guardando la mappa del voto al primo turno francese, si rivede la stessa dicotomia fra città e non città, fra metropoli e provincia, fra centrali della nuova economia immateriale e le rovine della economia industriale, fra la finanza e la bottega.
L’analogia, per la fortuna di Monsieur Macron-Clinton, si ferma al sistema elettorale che difficilmente offrirà, con il collegio unico nazionale che somma tutti i voti senza distinzione di provenienza, le possibilità di imboscate che lo spezzatino del ” Collegio Presidenziale ” americano consente anche a chi, come Bush nel 2000 e Trump nel 2016 permette di conquistare la vittoria anche prendendo meno voti.
Ma lo schema di gioco, il populista contro il tradizionalista, il nazionalista contro l’internazionalista, l’isolazionista contro l’aperturista, sarà lo stesso, anche se confuso nel minestrone del proporzionale o del parlamentarismo di altri sistemi o delle elezioni parlamentari francesi. Che sia una ” lei ” a essere ” lui ” o che sia una ” lui ” a essere ” lei “, non fa differenza, nel tempo della politica dove – e questa è la buona notizia fra tante cattive- non si vota più pro o contro in base al genere dei candidati.
REP.IT