Il dossier fantasma e le colpe del governo
L’onorevole Giacomo Stucchi, presidente del Copasir (Comitato parlamentare per i servizi d’informazione e sicurezza) ha ragione a smentire l’esistenza di dossier d’intelligence sulle attività delle Ong (Organizzazioni non governative) impegnate a salvare i migranti e traghettarli in Italia.
Una vera e propria indagine d’intelligence sulle attività delle Ong, infatti, non esiste. Esistono, e sono in possesso di Frontex, gli interrogatori dei migranti effettuati dagli agenti della Digos, dispiegati in Sicilia dalla Direzione Centrale della polizia di prevenzione. Interrogatori che dimostrano, grazie anche al sequestro di telefonini e chiavette, l’esistenza di contatti diretti tra trafficanti e personale delle Ong. Poi ci sono informazioni raccolte dalla missione Mare Sicuro della nostra Marina e da quella europea di Eunavfor Med che indicano dettagliatamente i punti nave delle Ong e le loro attività. Posizioni e attività che hanno destato i sospetti di Enrico Credendino, l’ammiraglio italiano al comando di Eunavfor Med.
Queste tre diverse fonti d’indagine non sono mai state raccolte in un unico dossier perché i nostri governi non hanno mai chiesto all’intelligence di farlo. A questo accenna indirettamente anche il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro quando fa capire alla Commissione Difesa del Senato di esser stato lasciato solo da un esecutivo che gli nega gli strumenti indispensabili per le indagini. E proprio questo è il punto cruciale. L’attività di una decina di organizzazioni responsabili nel 2015 e nel 2016 dell’arrivo nei nostri porti di 66mila 859 migranti non ha destato l’attenzione dei governi Renzi e Gentiloni che si sono ben guardati dal chiedere ai servizi di sicurezza una dettagliata indagine su attività, finalità e finanziamenti delle singole Ong. Il tutto mentre queste 10 organizzazioni lavoravano sotto il coordinamento della Guardia Costiera italiana e operavano in un’area libica vitale per i nostri interessi nazionali.
Una disattenzione non proprio veniale visto che una di queste organizzazioni, il Moas, fa capo a un imprenditore tra le cui attività rientrano le attività d’intelligence in appalto e la stipula di polizze assicurative per i contractor impegnati in Afghanistan e Irak. Senza contare le attività d’organizzazioni fortemente ideologizzate come Sea Eye e Sea Watch che dichiarano apertamente di battersi per l’assoluta libertà di movimento dei migranti e di non voler accettare le distinzioni dell’Unione europea tra profughi meritevoli di asilo perché in fuga da zone di guerra e gli «irregolari» destinati inevitabilmente al rimpatrio. Ma c’è una terza distrazione ancor più grave. Gli esecutivi Renzi e Gentiloni pur ripetendo d’aver come primo obbiettivo la salvaguardia delle vite dei migranti si sono ben guardati dal chiedere alla nostra intelligence se le operazioni delle Ong favorissero in qualche maniera l’attività dei trafficanti di uomini. Attività che solo nel 2016 hanno portato alla morte in mare di 4.500 migranti. Un numero di vittime impressionante se raffrontato ai 2.600 del 2015 quando le Ong erano ancora all’inizio dell’attività. Una dettagliata indagine dei nostri servizi segreti sarebbe stata dunque importante non solo per individuare le finalità delle Ong, ma anche per comprendere se la loro presenza contribuisca veramente a salvare vite o non, piuttosto, a garantire nuova merce ai trafficanti di uomini. E a moltiplicare quelle stragi che hanno trasformato il Mediterraneo in un’immensa e silenziosa tomba.
IL GIORNALE