Il fronte del Sud all’Europa: “Cambiare le regole sui conti”
Chiamiamola la battaglia d’autunno, anche se qui non c’è nessun compound da abbattere, solo da rivoltare i tabù di chi custodisce le regole comunitarie. Italia, Francia, Spagna e Portogallo hanno scritto alla Commissione europea per chiedere formalmente la modifica dei parametri che governano i conti pubblici del Continente. È da più di un anno che Pier Carlo Padoan batte quel chiodo a Bruxelles. Aveva iniziato con la lettera firmata da Spagna, Portogallo e altri cinque Paesi dell’area euro sul calcolo del cosiddetto «prodotto potenziale», ora replica con il sostegno del più influente dei partner dopo la Germania. «Occorrono cambiamenti significativi nella metodologia», scrivono a quattro mani Padoan e i colleghi Sapin, De Guindos e Centeno. Se è vero come raccontano alla Bundesbank che Jens Weidmann ha un funzionario di fiducia solo per capirne i risultati, negli algoritmi deve esserci qualcosa che non va. Al Tesoro sintetizzano la questione così: la crescita italiana non è travolgente, ma è comunque una delle migliori da vent’anni a questa parte. L’inflazione è ancora bassa, e il debito tutto sommato stabilizzato. Perché allora uccidere il bambino nella culla imponendo per il 2018 un aggiustamento da dieci e più miliardi? Cui prodest? «Sia la Commissione nel 2015 che i ministri dell’Ecofin nel 2016 si sono detti d’accordo nell’imporre sforzi tenuto conto dell’andamento dell’economia». E invece – dicono i quattro ministri – ciò non avviene ancora.
Il fatto che la lettera parta a pochi giorni dal ballottaggio francese e dalle raccomandazioni di primavera della Commissione (sono attese per il 17) non è casuale: il tentativo è di mettere le mani avanti prima che arrivino richieste difficili da gestire. Ma se la posizione della Francia andrà misurata dopo il probabile arrivo di Macron all’Eliseo e le elezioni legislative di giugno, per Roma si tratta di una battaglia che condizionerà l’ultimo scorcio di legislatura.
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Il giudizio positivo del numero due della Commissione europea Dombrovsikis sulla manovra di correzione dei conti di quest’anno – «sembra centrata» – non tragga in inganno. Gentiloni ha promesso per ottobre una Finanziaria pesante, ma solo nella convinzione che nel frattempo sarebbero cambiate le regole. Se l’Italia dovesse far scendere il deficit dal 2,1 per cento di oggi all’1,2 sarebbe costretta ad una manovra dagli inevitabili effetti recessivi. La Germania sarà disposta a concedere più flessibilità prima delle elezioni di settembre? Al Tesoro si fanno forti della richiesta ormai pressante di cambiare: non solo da parte dei Paesi del Sud, ma anche di Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Slovenia, Repubblica Slovacca.
Con il passare dei mesi la posizione italiana si fa sempre più delicata. La finestra di opportunità aperta due anni fa dal piano di acquisti della Banca centrale europea si sta chiudendo. Ieri il capoeconomista di Francoforte Peter Praet ha fatto salire l’euro oltre 1,10 dollari solo per aver lasciato intendere che nella prossima riunione del Consiglio dei governatori della moneta unica, a giugno, potrebbe arrivare l’annuncio di una correzione di rotta entro l’autunno. Finora la pressione è arrivata dai tedeschi e dai suoi alleati tradizionali, Olanda e Austria, ma ora sta cambiando la posizione della Francia, le cui banche soffrono i tassi zero. È probabile che il piano Draghi resti intatto fino alla fine di quest’anno, ma alla Bce c’è chi chiede nel frattempo un ritocco del tasso sui depositi, oggi negativo. Dettagli a parte, la sostanza è che passata la paura attorno alle elezioni olandesi, francesi e tedesche, l’Italia torni ad essere al centro dell’attenzione e costretta a dure scelte di finanza pubblica nel pieno della campagna elettorale. La speranza di Gentiloni e Padoan è che i partner ne tengano conto.
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