Netturbini, il diritto alla vestizione vanifica il nuovo orario di lavoro

giuseppe salvaggiulo

Emergenza rifiuti per tutti, a Roma, ma non per i 7800 dipendenti dell’azienda comunale incaricata di raccoglierli e smaltirli. L’Ama ha stipulato con i sindacati un accordo unico nel settore, perché vanifica l’aumento dell’orario di lavoro da 36 a 38 ore settimanali, caposaldo del contratto nazionale firmato nel luglio 2016 dopo una trattativa durata tre anni. Codificando uno specifico diritto alla vestizione dei netturbini, di fatto a Roma si continua a lavorare come prima. Guadagnando di più.

Dal 2011 i contratti nazionali specificano che «le operazioni accessorie quali: indossare o togliere gli indumenti di lavoro, doccia, etc… dovranno essere effettuate al di fuori dell’orario di lavoro». Nel 2016, in cambio dell’aumento dell’orario a 38 ore (al netto di vestizione e doccia, specifica il contratto), le aziende riconoscono l’aumento di paga (120 euro mensili a regime), le maggiorazioni per gli straordinari, l’aumento dei permessi retribuiti (30 ore annue in più), una serie di clausole sociali su trasferimenti di aziende e deroga al Jobs Act.

In tutta Italia esultano aziende e sindacati. A Roma no. Poco prima di Natale, l’effettiva entrata in vigore – prevista il 1° gennaio – viene posticipata di tre mesi con l’avallo della giunta Raggi. Motivo addotto nei documenti interni: approfondimento di generiche «esigenze della città». In realtà sono le esigenze dei netturbini, non quelle della città, l’oggetto della trattativa.

 

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Nello stesso periodo Utilitalia, la federazione delle aziende del settore, convoca due riunioni ad hoc. Precisa che la clausola sull’orario di lavoro va applicata alla lettera: 38 ore nette. Ma a Roma vanno avanti per la loro strada. Il risultato è un accordo firmato il 17 febbraio dai vertici dell’Ama nominati dal Movimento 5 Stelle (presidente Giglio, direttore generale Bina) e dai delegati sindacali. Il documento di quattro pagine codifica, contrariamente al contratto nazionale, il diritto a vestirsi, rivestirsi e farsi la doccia nell’orario di lavoro. Per la precisione: 10 minuti per indossare la tuta di lavoro a inizio turno, 15 a fine turno per lavarsi e indossare i propri vestiti. Inoltre specifica che la pausa di 10 minuti, anziché durante il servizio, può essere collocata a fine turno, anticipando il passaggio del badge sulle macchinette.

 

Un comunicato sindacale esplicita con un esempio il beneficio. Con il nuovo contratto nazionale, l’orario giornaliero (articolato su 6 giorni) diventa di 6 ore e 20 minuti. Ma sottraendo il doppio «tempo-tuta-doccia» (10 + 15 minuti) si torna sotto le 6 ore giornaliere, dunque a 36 ore settimanali. Come prima, anzi meglio: la pausa a fine turno garantisce di rincasare 10 minuti prima con 120 euro in più in busta.

 

E dire che l’Ama, colosso che impiega il 15 per cento di tutti i dipendenti italiani del settore, è l’azienda che più di ogni altra avrebbe bisogno di colmare il deficit di produttività nella quale è precipitata in anni di gestione politicizzata e consociativa: nomine e assunzioni di stampo partitico, turni e ruoli chiave in mano ai sindacalisti che ostacolavano ogni novità (dal gps sui camion alla tracciabilità della raccolta). E indennità di ogni tipo: «di presenza» per gli autisti (automatica, basta prendere servizio), «di disagio» per chi lavorava a Roma, ma in un quartiere diverso da quello di residenza (diritto intoccabile una volta acquisito, anche cambiando casa o luogo di lavoro).

 

Il potenziale aumento di produttività per l’Ama, grazie al nuovo contratto, era stato stimato in 600 mila ore di lavoro in più all’anno: come avere un operaio in più ogni trenta dipendenti, consentendo di dimezzare l’incredibile monte straordinari (1,2 milioni di euro l’anno, il che significa che non pochi netturbini hanno tredicesima, quattordicesima e quindicesima in busta paga).

 

Tutto vanificato. Il Piano Operativo sui rifiuti della giunta Raggi parla di «azioni di efficientamento e riorganizzazione» dell’Ama su vasta scala, ma questo accordo sacrifica i proclami efficientisti alla cara, vecchia pax sindacale. E non solo perché in campagna elettorale i sindacati di base dell’Ama distribuivano volantini pro Raggi. Avere contro i netturbini rischierebbe di sommare emergenza a emergenza.

 

Questo a breve ristabilirà una situazione igienica passabile nelle strade. Ma a luglio, quando gli impianti che inghiottono in Italia e all’estero i rifiuti della Capitale chiudono per manutenzione? Bruxelles, ministero, Regione e soprattutto romani si accontenteranno di sapere che la sindaca, con un certo slancio di ottimismo, pensa di portare la differenziata al 70% nel 2021, dal 43% odierno?

LA STAMPA

 

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