I dem tornano a superare i 5 Stelle Con il voto larghe intese sul filo

Le reazioni dell’opinione pubblica di fronte ai risultati di un’elezione sono spesso più influenzate dal raffronto con le attese dei cittadini che dall’analisi oggettiva dei dati. E le primarie di domenica scorsa ne rappresentano un esempio. La consultazione ha fatto registrare la partecipazione di oltre 1,8 milioni di elettori e la netta affermazione di Renzi (69%). Nonostante l’affluenza sia risultata largamente inferiore a quella di tutte le primarie precedenti, l’opinione prevalente è che si sia trattato di un successo, dal momento che le previsioni erano decisamente peggiori: Renzi infatti aveva (scaramanticamente o tatticamente) fissato l’asticella sopra il milione e il nostro sondaggio, prima del confronto televisivo tra i candidati e degli appelli al voto, stimava al massimo 1,6 milioni di votanti.

Si è quindi verificato un risultato al di sopra delle aspettative: poco importa che la partecipazione si sia dimezzata rispetto alle primarie del 2007 e si sia ridotta di oltre un terzo rispetto a quelle più recenti (2013). E poco importa che nelle zone di tradizionale insediamento del Pd si sia manifestata una disaffezione più elevata o che quasi un partecipante su due fosse un pensionato e i giovani abbiano disertato l’appuntamento.

Effetto bandwagon

Poco importa: si tratta delle analisi di politologi e commentatori. Per una larga fetta di opinione pubblica, invece, ha stravinto Renzi e hanno votato in molti. E ciò si riverbera sulle intenzioni di voto post primarie che fanno registrare una crescita significativa del Pd che oggi si attesta al 30,4%, in crescita di 2,8 punti rispetto a metà aprile: pertanto si osserva il controsorpasso, sia pure di poco, sul Movimento 5 Stelle (30,2%), a distanza di 10 mesi da quando quest’ultimo era passato in testa. È presto per dire se si tratti del classico effetto bandwagon (saltare sul carro del vincitore) o dell’apertura di una nuova fase per Renzi e il Pd. Di sicuro appare come un’apertura di credito, tutt’altro che scontata, in attesa che venga definito un programma. A seguire, nella graduatoria delle intenzioni di voto, si collocano Forza Italia (13,1%), alle prese con un perdurante testa a testa con la Lega (12,3%) e, più staccati, Fratelli d’Italia (4,8%), Alternativa popolare (3%), Sinistra italiana (2,4%) e Articolo 1-Mdp (2,1%). La sinistra e i centristi fanno segnare un lieve arretramento. L’area grigia dell’astensione e dell’indecisione si attesta al 33,6%.

Tutte le ipotesi

A fronte di queste stime si conferma il forte rischio di ingovernabilità. Simulando l’attribuzione dei seggi, infatti, attualmente il Pd otterrebbe 206 deputati e nemmeno sommando quelli di FI (87) e dei centristi (19) sarebbe in grado di raggiungere la maggioranza di 316. Soltanto aggiungendo i parlamentari eletti nelle autonomie e altri scelti all’estero si avrebbe una maggioranza risicata. Ovviamente ci si può sbizzarrire nelle ipotesi più fantasiose, indipendentemente dalla praticabilità politica delle stesse: per esempio il M5S (197) alleato con i sovranisti, cioè Lega (81) e Fdi (31). Anche in questo caso la somma sarebbe inferiore alla maggioranza assoluta della Camera. Al momento, dunque, l’unica maggioranza sicura sarebbe quella rappresentata dall’alleanza tra Pd e M5S. L’ipotesi di una lista unica tra SI e Mdp toglierebbe seggi ai dem, aumentando il rischio ingovernabilità. E non contribuirebbe al raggiungimento di una maggioranza: la lista otterrebbe 28 seggi che sommati a quelli del Pd (197) e dei centristi (18) non risulterebbero sufficienti a formare un esecutivo. A meno che non si sommino i seggi di FI. Ma una tale maggioranza di intese «extra large» sembra fantapolitica.

Chi vuole il voto subito

Le incognite sono molte, a partire dalla legge elettorale, dalle alleanze e dalle leadership di tutti i contendenti (con eccezione del Pd). Per non parlare dei programmi e della data delle elezioni. A questo proposito il sondaggio odierno fa registrare un aumento (+6%) di coloro che vorrebbero votare al più presto: oggi rappresentano poco più di un elettore su due (52%), mentre uno su tre (35%) preferirebbe che si votasse nel 2018 alla scadenza naturale della legislatura. Sono soprattutto gli elettori pentastellati e del centrodestra a desiderare elezioni subito. Ma anche uno su quattro tra gli elettori del Pd vorrebbe andare presto al voto, probabilmente galvanizzato dal risultato delle primarie. Intanto alle porte c’è una tornata elettorale amministrativa che coinvolge oltre 1.000 Comuni (tra i quali 21 capoluoghi di provincia e 4 di regione) e potrà fornire indicazioni interessanti in chiave nazionale. E prima di allora i risultati delle presidenziali francesi e delle elezioni inglesi potranno influire sulle preferenze di voto di molti elettori italiani. Come pure le legislative francesi di giugno e le elezioni tedesche di settembre. Insomma, ci aspettano mesi politicamente intensi. Non c’è da annoiarsi.

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