Serve subito una legittima difesa da Renzi
I pasticci della legge-truffa sulla legittima difesa e del via libera alle molestie telefoniche commerciali dei call center sono figli di due fattori.
Il primo è che il Parlamento è completamente allo sbando: deputati e senatori considerano la legislatura finita e pensano solo a come portare a casa la ricandidatura, cosa non semplice alla luce della scomposizione che ha cambiato gli equilibri di tutti i partiti. Il secondo si chiama Matteo Renzi, che non ha ancora deciso cosa fare da grande. O, meglio, lui vuole andare a votare il prima possibile e tornare a fare il premier, ma non sa bene ancora con l’aiuto di chi. Così un giorno strizza l’occhio ai centristi, il seguente alla sua sinistra, un altro ancora insegue i grillini sui temi più improbabili. È tutto un ordine e contrordine, fino a farci credere che le leggi sulla legittima difesa e sui call center, votate dalla sua maggioranza, proprio non gli piacciono.
Succede così: lui ordina di fare o dire una certa cosa, poi al mattino, di buon’ora, legge i commenti dei giornali, apre internet e studia le reazioni della gente sui social, quindi decide: o conferma o fa trapelare la sua indignazione a costo di fare la figura del «segretario a sua insaputa». È in campagna elettorale permanente. Blandisce, minaccia, scarica le colpe (è impossibile che non abbia dato l’ok a leggi così importanti, sia nella sostanza che mediaticamente). E, tanto per avvelenare un po’ i pozzi, lascia circolare la voce che il premier Gentiloni potrebbe anche non essere ricandidato alle prossime elezioni: ha superato i tre mandati e, a norma di statuto del Pd, solo il segretario può autorizzare l’eccezione.
È questo un clima per produrre una legge elettorale equa ed efficace? Non penso proprio. Mettiamoci una pietra sopra. In qualche modo, ovviamente, andremo prima o poi a votare, ma dalle urne uscirà tutto, appunto, «in qualche modo». Cioè si voterà alla spera in Dio. Che, a differenza di una volta («nel segreto dell’urna Dio ti vede e Stalin no, quindi vota Dc», era lo slogan degli anni Cinquanta), non si sa più a che voto corrisponda. Il che complica di non poco le cose.
IL GIORNALE