Cannabis di Stato, il procuratore antimafia Roberti: “Favorevole, ma solo ai Monopoli coltivazione e vendita”

di ANTONIO DI COSTANZO

NAPOLI – Politici, medici, intellettuali. Ma soprattutto magistrati. Ecco il partito della legalizzazione delle droghe leggere. Nasce a Napoli, città sconvolta dalla faida delle cosiddette “paranze dei bambini”, le gang di giovanissimi che si ammazzano per conquistare fette di territorio da trasformare in piazze di spaccio. Quelle bande contro cui lotta ogni giorno Henry John Woodcock, pm di punta della Procura di Napoli che ha riacceso il dibattito sulla marijuana legalizzata con una lettera pubblicata ieri su Repubblica.

Se ne parla al convegno “Prima (invece) di punire”, organizzato dall’associazione “Not Dark Yet”, letteralmente “Non è ancora buio”, da una canzone di Bob Dylan, che lancia una sorta di manifesto del nuovo antiproibizionismo promosso dai magistrati. Aderisce all’iniziativa, anche se con qualche distinguo, il procuratore nazionale della Dda Franco Roberti: “Siamo favorevoli a una disciplina che attribuisca ai Monopoli di Stato, in via esclusiva la coltivazione, lavorazione e vendita della cannabis e dei suoi derivati. Siamo però radicalmente contrari alla previsione di autorizzare la coltivazione della cannabis ai privati”, è la posizione della Procura antimafia affidata a un messaggio letto durante l’incontro.

“Il problema non è la legalizzazione sì o no, perché secondo me quella della legalizzazione è una scelta obbligata, un problema solo di tempo. Speriamo che non ci sopravviva e che i tempi siano più possibili brevi” si augura Woodcock che, riferendosi alle paranze dei bambini, lancia una scommessa: “Quella di immaginare, di sognare che le straordinarie energie, che questi ragazzi mettono in quella che adesso è un’attività illecita, possano essere in qualche modo sfruttate per attività diventate legali”.

Nicola Quatrano, giudice di “Mani pulite”, oggi impegnatissimo anche in battaglie civiche, accusa: “In Parlamento giace la proposta sulla legalizzazione della cannabis come strumento di riduzione dell’area di illegalità e degli spazi per la criminalità organizzata. Il proibizionismo di fronte a certi problemi sociali, che non si riescono a eliminare, è la risposta peggiore perché si rinuncia a governarli, rigettandoli nella sfera dell’illegalità e accrescendo l’insicurezza. Se si riporta il tema nella legalità e si regolamenta l’uso delle droghe leggere ciò consentirà di governare il fenomeno”.

Tema sentito, ma scivoloso che divide gli stessi magistrati. Se il presidente dell’Anac Raffaele Cantone ha cambiato idea e vede nella legalizzazione “un modo per impedire ai ragazzi di entrare in contatto con la criminalità organizzata”, resta su posizioni decisamente contrarie il capo della Procura di Catanzaro Nicola Gratteri che ha più volte espresso il concetto per cui la “cannabis legale oltre a essere immorale non servirebbe a colpire le mafie”. Anche la Dda di Napoli non è monolitica: un altro pm, Catello Maresca, titolare di inchieste scottanti, ribadisce il suo no: “Rispetto tutte le idee, ma solo la sperimentazione ci potrebbe dire quello che è giusto, ma in questo caso sarebbe troppo rischioso. Mi preoccupa l’effetto riflesso: legalizzare la distribuzione delle droghe leggere farebbe ritenere lecito un comportamento ritenuto oggi riprovevole da molti ragazzi, avvicinandoli all’uso di queste sostanze”.

REP.IT

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