La frenata delle unioni civili: Solo 2.800 sì. A un anno dalla legge niente corsa alle nozze gay, flop al Sud
di LIANA MILELLA
ROMA. In otto mesi 2.802 unioni civili. In tutta Italia. Erano 2.433 a fine dicembre. Se ne sono aggiunte 369 tra gennaio e fine marzo. Non c’è che dire: decisamente un flop. Che non può che sorprendere, vista la battaglia durissima e lo scontro politico per arrivare alla legge. Quella sulle unioni civili è stata senza alcun dubbio la legge politicamente più divisiva della legislatura. La Camera, con la fiducia, ha detto il sì definitivo l’11 maggio 2016. A pochi giorni dal suo primo “compleanno” Repubblica ne racconta l’impatto con dati che diventeranno ufficiali tra pochi giorni.
Proprio così. Nelle piazze, prima della legge, c’erano migliaia di manifestanti — uomini e donne gay che rivendicavano il loro diritto di unirsi in un “matrimonio” civile — ma ora le cifre forniscono un quadro decisamente sottodimensionato. Sul quale non hanno inciso i numerosi decreti legislativi che, via via, da luglio 2016 fino all’11 febbraio 2017 quando è stato varato l’ultimo, hanno messo definitivamente a regime le nuove unioni rendendole compatibili con codici e altre leggi.
È il primo dato che salta all’occhio scorrendo le tabelle. Anche sulle unioni civili l’Italia è divisa in due, addirittura in tre, c’è il Nord, c’è il Centro, e c’è il Sud. Un Nord e un Centro Italia in cui i numeri delle unioni sono maggiori, un Sud dove tra gente dello stesso sesso ci si sposa pochissimo o addirittura per niente. Vediamo le cifre: 1.417 unioni civili in Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino, Friuli, Veneto e Liguria. I numeri calano al centro: sono 1.093 le unioni celebrate in Emilia e in Romagna, Toscana, Marche, Abruzzo, Umbria e Lazio. Poi ecco il crollo scendendo verso il Sud. Solo 292 unioni sono state celebrate in Molise, Puglia, Basilicata, Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna. E, a scorrere le tabelle, colpisce il fatto che in Molise ci sia stata una sola unione. Che ve ne siano state soltanto due in Basilicata, una a Potenza e una a Matera. Che in Calabria si arrivi solo a otto. Le Regioni del Sud che tengono in alto i numeri sono solo la Campania con 105 unioni e la Sicilia con 75. Ma va detto che anche in Valle D’Aosta le unioni sono state solo sei. Adesso dovranno essere gli studiosi a spiegare se nel Sud non ci sono proprio persone dello stesso sesso che vogliono unirsi ufficialmente, oppure se le coppie omosessuali ancora si nascondono, magari perché rendere ufficiale il rapporto, e quindi l’unione, potrebbe avere conseguenze sul lavoro e la vita sociale.
Milano campeggia nell’elenco delle città dove ci si sposa tra gay. Con le sue 354 unioni. Segue Roma con 331. Torino con 174. Firenze con 123. Bologna con 98, Genova con 85, Napoli con 69, per precipitare a Palermo con 36 e a Bari con 25. La Lombardia è la regione con il maggior numero di unioni, ben 669, seguita dal Lazio con 376 e dalla Toscana con 293.
È significativo, nella lettura dei dati, confrontare i primi cinque mesi della legge, da agosto a dicembre 2016, e i tre mesi del 2017, gli unici finora disponibili. La legge Cirinnà entra in vigore il 5 giugno 2016, ma bisogna aspettare il 29 luglio per il decreto ponte. Il flusso delle unioni fino a dicembre — 2.433 — dimostra che chi voleva ufficializzare la sua unione, che magari andava avanti da anni, lo ha fatto subito. Poi il numero cala repentinamente. C’è da chiedersi che cosa sarebbe accaduto se le coppie avessero potuto regolarizzare grazie alla legge anche gli eventuali figli dei partner o addirittura adottarne. Ma questa sarebbe un’altra legge e un’altra storia.
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