Una lezione per il nuovo Renzi
Inutile negarlo: l’elezione di Macron crea qualche problema a Renzi, a dispetto delle somiglianze e della pretesa identificazione tra i due circolata anche nell’assemblea del Pd che lo ha riproclamato segretario.
Si può discutere sul valore della novità in politica, specialmente in Paesi come Francia o Italia dove l’insoddisfazione dei cittadini verso i governi, le loro politiche e i vincoli imposti dalle istituzioni sovranazionali, mescolata alle paure del nostro tempo – percezione latente di insicurezza, terrorismo internazionale, invasione inarrestabile di immigrati, degrado delle periferie -, spingono i cittadini verso il fronte della protesta e nelle braccia di movimenti e partiti populisti e xenofobi, che hanno messo radici nelle antiche e consolidate democrazie europee.
Ma se ci si chiede se Macron ha vinto più perché è un giovane banchiere tecnocrate, riformista, europeista, né di destra né di sinistra, oppure perché, essendo nuovo, ha potuto rompere tutte le regole, scendere in campo contestando l’assetto politico della V Repubblica, i suoi partiti storici, socialista e gollista, cardini della stabilità e dell’alternanza, e sfidare apertamente la Le Pen in nome di questa rottura, è abbastanza chiaro che la seconda ipotesi è la più probabile. Dunque Macron ha vinto perché è nuovo, ma allo stesso tempo è esposto a tutte le insidie del nuovo: la politica 2.0, ridotta a marketing dei candidati e soggetta al mutevole umore degli elettori, disponibili istintivamente ai vantaggi promessi delle novità, ma non disposti a pagarne i prezzi, prima o poi necessari e ineludibili.
In questo senso, Renzi, per paradosso, ha qualcosa da insegnare a Macron e qualcosa da imparare da lui. Al presidente francese, che ha conseguito una doppia vittoria, facendosi eleggere da una larga maggioranza popolare e sconfiggendo Le Pen nell’occasione in cui era maggiormente accreditata di poter vincere, la storia del leader del Pd che aveva battuto Grillo 40 a 20 nelle europee del 2014 e lo ha visto incredibilmente rimontare, man mano che da presidente del Consiglio dispiegava il suo programma riformista, potrà fare da monito a non dar troppo facilmente per vinto il populismo, sempre in grado di rialzare la testa. Il segretario rieletto plebiscitariamente alla guida del suo partito potrà imparare da Macron che si vince avendo il coraggio delle proprie idee, non rinunciandoci e neppure imitando di tanto in tanto quelle degli avversari: insomma senza mettere, togliere e rimettere la bandiera stellata dell’Europa secondo le convenienze del momento, ma lasciandola lì a sventolare in tutta la sua bellezza. Inoltre Macron ha affrontato la sua avversaria senza cedimenti, dimostrando di saper discutere, convincere, prestare ascolto, e dotandosi di una squadra di consiglieri e tecnici validi e indipendenti, formatisi nel presente e nel passato (come quelli vicini a Strauss-Kahn), in molti casi privi di appartenenza politica e capaci di contraddirlo.
Così facendo, anche Renzi potrà capovolgere il suo destino e la stagione incerta che lo attende, malgrado il partito lo abbia rieletto con il voto di iscritti e elettori anziani, che si aspettano da lui che cambi tornando indietro, rinnegando una parte di se stesso e virando verso una politica più tradizionale. Renzi, invece, per vincere di nuovo, ha bisogno soltanto di tornare a essere Renzi.
LA STAMPA