Il servizio civile rifugio per i giovani disoccupati

giacomo galeazzi
ROMA

In tre anni il loro numero è più che triplicato: erano 15mila nel 2014, sono quasi 50mila nel 2017. In tempi di crisi, 433 euro possono far comodo soprattutto se, in un caso su 4, al termine del servizio civile si viene assunti dove si è lavorato per un anno. «Motivazioni ideali, desiderio di una diversa esperienza di impegno e difficili condizioni del mercato del lavoro», spiega così il boom di “civilisti” Gianfranco Viesti, ordinario di Economia all’università di Bari. A 6 mesi dalla fine del servizio civile, un ragazzo su 3 risulta occupato (33,5%): tra questi, il 22,5% trova lavoro attraverso l’ente al quale era stato assegnato. La Stampa ha incrociato esperienze sul campo dei volontari con indagini dei principali esperti del fenomeno, visitando alcuni dei 4mila enti accreditati.

 

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Non bastano i posti

«Negli ultimi due anni le domande hanno superato di oltre tre volte il numero di posti disponibili- spiega Luigi Coluccino, rappresentante nazionale del settore e volontario a sua volta alle Acli-. Nel corso degli anni sono cambiate forme e tipologia dei progetti, adattandosi alle esigenze del Paese. La logica dell’alternanza al servizio militare obbligatorio resta un passaggio storico ma è distante dalle dinamiche attuali». Oggi funziona il passaparola dei volontari che nel 95% dei casi la descrivono come un’esperienza positiva di difesa non armata della patria: «la situazione del mercato del lavoro ha un’incidenza e un’esperienza retribuita è ovviamente appetibile per un disoccupato».

 

 

L’età di chi può presentare domanda «coincide con il profilo del giovane alla ricerca di lavoro», perciò la delega per il servizio civile è stata assegnata al Ministero del lavoro. Da poco è cambiato anche il nome del servizio civile: da nazionale a universale. Una novità è che si può lavorare fino a tre mesi in un altro paese dell’Ue.

 

Dennis Cova, 26 anni, ha appena terminato il suo periodo alla biblioteca «Achille Marazza» di Borgomanero, in provincia di Novara e cita «La meglio gioventù», il film di Marco Tullio Giordana: «L’Italia è un paese da distruggere, un posto bello e inutile destinato a morire». Per lui il servizio civile è «un valido salvagente e un ammortizzatore sociale: chi non trova un impiego può ricorrere a questo periodo comunque retribuito». E «chi fa domanda è motivato e chiede spesso di andare in prima linea, tra i terremotati e i rifugiati».

 

Dal 2001 a oggi, quasi mezzo milione di italiani (nella fascia d’età 18-29) ha lavorato per un anno (30 ore settimanali) nell’assistenza socio-educativa, nell’agricoltura sociale e in attività di pubblica utilità in zone di montagna. La metà dei “civilisti” risiede nel Mezzogiorno o nelle isole e per l’85% vive ancora in famiglia. Solo uno su quattro ha lavorato prima di svolgere il servizio civile. Il 65% dei volontari sono donne e l’86% è disposto a cambiare regione per lavorare. Il 67% ha fatto domanda per “motivazioni personalistiche” (avvicinarsi al mondo del lavoro, guadagnare qualcosa, acquisire competenze). Il 33% per spirito di solidarietà. «In una condizione di elevata disoccupazione giovanile e di condizioni di lavoro spesso a bassissima remunerazione e incerte, un’occupazione, per quanto pagata pochissimo (433 euro al mese, 4 euro all’ora) può apparire persino appetibile rispetto agli stage non pagati – analizza la sociologa Chiara Saraceno-. Fa curriculum, può essere spesa come esperienza lavorativa oltreché di impegno civile, consente di mettere un piede in un settore del mercato del lavoro, quello del non profit, che ha tenuto meglio, negli anni della crisi, rispetto al settore profit».

 

 

 

C’è però il rischio, avvisa la professoressa Saraceno, di «una visione distorta dello stesso servizio civile promossa al più alto livello istituzionale, che lo rende non già una scelta di partecipazione civile alla costruzione del bene comune, ma una sotto-occupazione in mancanza di meglio». Però «il fatto che chi fa domanda di servizio civile universale richieda di andare in prima linea segnala, il desiderio di fare qualche cosa di utile per la collettività». Quindi «le associazioni che li utilizzano hanno una grande responsabilità: devono evitare di trasformare il servizio civile in una esperienza di sfruttamento, mancanza di riconoscimento, o anche solo di sensazione di inutilità, sprecando, se non uccidendo sul nascere, una forte motivazione etico-civile, come succedeva a volte anche con il vecchio servizio civile». Alessandro Rosina ordinario di demografia e statistica sociale, dirige all’università Cattolica di Milano il dipartimento di Scienze statistiche ed è l’autore della sezione sul servizio civile del Rapporto giovani 2016.

 

«Ad essere più attivi nel sociale non sono tanto quelli spinti dalle carenze di opportunità ma quelli attratti dalla possibilità di mettersi alla prova per fare concretamente qualcosa di utile e di valore». Il servizio civile non deve essere «ammortizzatore sociale, ufficio di collocamento o surrogato del lavoro: non un parcheggio per chi non trova di meglio, ma un laboratorio per rafforzare competenze ed essere cittadino attivo». I “millennials” sono «meno ideologici dei genitori e dei nonni», perciò «la retribuzione è un valore aggiunto, non una contraddizione del loro slancio ideale».

 

Arezzo il comune record

Arezzo ha il primato, in rapporto agli abitanti, di “civilisti” impiegati in un comune toscano: 40. Il sindaco Alessandro Ghinelli li ha riuniti nella Sala Giostra del Saracino e quando chiede quanti siano i laureati, alzano quasi tutti la mano. «E’ un patto tra generazioni nell’attività amministrativa, anche attraverso la regione che ha finanziato i nostri progetti- afferma-. I ragazzi ne ricavano un’esperienza di lavoro e una crescita civica. Per il comune è una risorsa preziosa in termini di forza lavoro (+10), visto che oggi i nostri impiegati sono 500 e nel 2000 erano 900».

 

 

La giornata trascorsa con loro offre conferme. «Nei primi tre mesi di servizio abbiamo 42 ore di formazione generale e altre 42 di lavoro d’ufficio e relazione col pubblico – racconta Sara Bonci, 26 anni-. Faccio sopralluoghi negli spazi espositivi e teatrali della città». Alessio Spartà, 28 anni, sbriga pratiche all’ufficio delle politiche giovanili («sono legato alla mia città, ora ne conosco la macchina burocratica»). Gaia Giovacchini, 28 anni, una laurea in Filosofia morale a Siena e un master in psicologia analitica a Zurigo presta servizio alla scuola dell’infanzia. «Adesso sono una cittadina del mondo più consapevole e attenta», racconta. «Prima avevo fatto sempre lavoretti (cameriera, baby-sitter), qui sono entrata in contatto con ambienti a me sconosciuti e anche l’aspetto economico è una gratificazione utile – sottolinea Samanta Guerrini che ogni mattina arriva in treno da Cortona-Collaboro con assistenti sociali che assistono minori, malattie mentali, disabili, anziani».

 

Chiara Romano, 25 anni, è impiegata nella «digitalizzazione delle utenze demografiche», mentre Flavia Sorbi, 27 anni, che studia Farmacia, si occupa del «piano giovani» e trova nel servizio civile «un po’ di indipendenza economica per non gravare troppo sui miei genitori». Flutura Dako, mamma 28enne d’origine albanese, alle spalle «pochissime opportunità lavorative», è entrata nel progetto per le «politiche di coesione». E, «per una straniera come me serve anche a integrarsi in una comunità». Jessica Marchesini, 24 anni, ha fatto domanda dopo aver perso il lavoro: «La mia giornata inizia alle 8 e finisce alle 14 e mi sento utile alla scuola per l’infanzia». Anche Irene Fabbriciani si occupa di bambini tra i 3 e i 6 anni in attesa di decidere se iscriversi o meno all’università e Ilaria Franchi, laureata in Scienze Geologiche, è stata affiancata ad un geometra comunale: «Controllo le delibere comunali degli archivi dal 1984 in poi e verifico se gli impianti sportivi sono a norma». Eleonora Novembre, 26 anni è stata assegnata all’asilo nido Cesti («Mi piace e può essere il mio futuro») e Iulia Anton monitora il commercio («mi insegnano a far rilevazione e guadagno qualcosa»). Bianca Sestini, laureata in Giurisprudenza, sogna di «girare il mondo con una Ong» e trova utile farsi le ossa. A Paolo Parigi, 29 anni, è stata affidata la gestione delle richieste di patrocinio per gli eventi sportivi. «E’ un servizio alla comunità e una bella esperienza lavorativa», dice.

 

Le cause del boom

L’escalation di richieste è sott’osservazione degli esperti. «E’ fenomeno complesso: in parte ammortizzatore sociale, in parte forma di socializzazione alla cittadinanza, , senza che i due aspetti possano essere separati in modo rigido», osserva il sociologo Massimo Introvigne, direttore dell’istituto Cesnur . Molti giovani «scelgono il servizio civile sia perché non riescono a trovare lavoro sia perché desiderano diventare cittadini migliori». Secondo l’economista Giuliano Cazzola «i ragazzi hanno bisogno di valori: ai tempi delle ideologie si impegnavano in politica, oggi cercano risposte altrove. E c’è grande differenza tra i volontari del servizio civile e quelli dei lavori socialmente utili (Lsu) a carico dello Stato da decenni». I civilisti «non rivendicano un’assunzione stabile nella pubblica amministrazione o il mantenimento a vita, mentre per gli Lsu è diventata una professione a cui non rinuncerebbero nemmeno in cambio di un lavoro vero». Francesco Spagnolo segue il servizio civile sia come formatore alla Caritas sia come curatore di Esseciblog.it, il primo blog dedicato al settore.

 

«E’ una sfida educativa: si ha l’opportunità di avere a disposizione i giovani per 12 mesi per accompagnarli ad essere persone attente, curiose, preparate, impegnate per sé e per gli altri . E invece ancora oggi i posti di servizio civile disponibili sono direttamente proporzionati agli stanziamenti che annualmente figurano nella legge finanziaria». E per il 2017 il governo ha destinato 257 milioni. «In passato il servizio civile era legato all’obiezione di coscienza, oggi alla partecipazione alla vita attiva – precisa il sociologo Giuseppe Roma, segretario generale della Rur, la rete delle rappresentanze -. Sono giovani mediamente di sotto dei 25 anni, in gran parte diplomati e abitano in famiglie in difficoltà proprio per il mancato accesso dei figli al mercato del lavoro». Tanti «fanno domanda per uscire da una condizione di marginalità e avvicinarsi in qualche modo al mondo del lavoro. Servirebbero più posti e fondi». E «in un’economia incapace di generare nuova domanda di lavoro perché ha perso velocità di crescita», c’è un pericolo da combattere: il servizio civile non deve essere percepito come una forma ambigua di sussidio, ma come un’occasione per essere parte di un’organizzazione, partecipare pragmaticamente ad attività operative e accrescere il profilo professionale in vista di futuri percorsi lavorativi».

 

Il boom di richieste, tira le fila il demografo Rosina, «è la conferma delle grandi potenzialità di una generazione sottoutilizzata, che quando trova opportunità proposte credibili è pronta a spendersi». Quindi «i baby boomers si sono autoproclamati la “meglio gioventù”, mentre i millennials non vogliono essere considerati né meglio e né peggio, chiedono solo di poter dimostrare quanto valgono. E ci riescono».

LA STAMPA

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