Sulla nuova legge elettorale nasce il patto Berlusconi-M5S

ugo magri
roma

Come capita nel deserto, quando sembra di scorgere un lago, ieri si è avuta l’illusione di una larghissima intesa. Forza Italia, bersaniani, Fd’I e Ap si sono tutti dichiarati per il «Legalicum». Favorevoli cioè alla vecchia idea grillina di estendere al Senato la legge elettorale della Camera, emendata dalla Consulta, in modo da rendere i due sistemi omogenei come esige il Capo dello Stato. All’appello manca solo il Pd, perché prima di decidersi da quelle parti vogliono la certezza che non si tratti di un miraggio. E in effetti, qualche dubbio ancora sussiste perché dentro Forza Italia si è subito scatenato un dibattito (eufemismo) tra chi pensa che puntare sul «Legalicum» sia la cosa giusta e chi invece preferirebbe una strada diversa, quella suggerita dietro le quinte proprio dai renziani, che prevede un mix di maggioritario e di proporzionale, cinquanta e cinquanta.

 A chi non si appassiona dei congegni di voto, la differenza può risultare oscura. Ma ridotto in soldoni, il bivio che si para dinanzi a Forza Italia è tra andare per proprio conto o legarsi mani e piedi alla Lega. Tra scegliere una libertà rischiosa o mettersi nella scia dei «sovranisti». Sul che fare, Berlusconi non ha dubbi. Detesta Salvini perché il giovane Matteo si è allargato assai, pretende di comandare dove finora di padroni ce n’era stato uno solo. E la semplice idea di dover contrattare con questo ragazzo i candidati nella metà dei collegi (dove vincerebbe chi arriva primo, come avveniva fino al 2005 col «Mattarellum») provoca al Cav l’orticaria.

Ragion per cui Silvio ha dato ordine al fidatissimo Brunetta, capogruppo «azzurro» alla Camera, di imboccare l’altra strada. Qui ha origine la «mossa del cavallo», cioè l’annuncio spiazzante che a Forza Italia piace il «Legalicum» dei Cinquestelle, un proporzionale dove ciascuno è arbitro del suo destino.

 

Sennonché a quel punto si è scatenato Romani, capogruppo di Forza Italia in Senato, che guida il fronte di quanti giudicano velleitaria, e forse anacronistica questa «grandeur» berlusconiana, per cui vorrebbero gettare le basi di un rapporto solido con Salvini, con la Meloni, con le nuove leve rampanti della destra lepenista. A costo di salvarsi in pochi nei collegi del Nord, e di rottamare in blocco il partito del Centro Sud, che per effetto del sistema suggerito da Renzi si ridurrebbe a una manciata di seggi tra Camera e Senato. Stamane alle 11, a Palazzo Grazioli, è convocata la riunione per decidere.

 

Ci saranno i due capigruppo, gli «esperti» Sisto, Occhiuto, Malan, gli immancabili Gianni Letta e Ghedini più qualche comparsa (non è il modo di prendere le decisioni, protestavano ieri sera Matteoli e Gasparri). Berlusconi viene descritto come fermo sulle sue tesi però messo con le spalle al muro da Salvini e da Toti; convinto che dietro la voglia di fare accordi con la Lega ci sia un piano per spodestarlo, ma nello stesso tempo sedotto dalla tesi di Romani secondo cui, con il sistema misto «fifty-fifty» ci sarebbe da ridisegnare i collegi, passerebbero mesi prima di tornare alle urne e, magari, nel frattempo la Corte di Strasburgo emanerà un verdetto favorevole a Silvio, rendendolo di nuovo candidabile.

 

Renzi aspetta, senza fretta, di vedere come finirà. Se Berlusconi cede, Forza Italia diventerà una costola della Lega e molti elettori moderati troveranno rifugio nel Pd, specie al Sud. Altrimenti si getteranno le basi per trasferire l’«Italicum» (o ciò che ne resta) pure al Senato, con qualche modifica ancora da discutere (e pure questo al Pd sta bene). Se poi non si dovesse cavare un ragno dal buco, Renzi sarebbe felicissimo ugualmente, perché dimostrerebbe a Mattarella che perdere altro tempo per dare omogeneità al sistema sarebbe inutile. Meglio votare subito.

LA STAMPA

 

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