Renzi teme le trappole di Berlusconi e di finire come Bersani nel 2013
Tutto quanto accade sulla legge elettorale, ridotto all’osso, è la lotta per la sopravvivenza di Matteo Renzi, il quale non vuole finire in bocca a Berlusconi versione Caimano. Si rende conto che con il sistema attuale («Porcellum» al Senato e «Italicum» alla Camera, rimaneggiati dalla Corte costituzionale) avremmo tutto fuorché un vincitore. Dalle urne emergerebbero tre blocchi sostanzialmente uguali: Pd, M5S e destre. Col risultato che, per non trascinare l’Italia in un gorgo, Renzi si troverebbe nell’umiliante situazione di bussare al portone di Arcore e di venire a patti col padrone di casa: un’esperienza da non augurare a nessuno. Ovvero di ripercorrere la stessa via crucis di Bersani quattro anni fa, quando l’ex segretario del Pd perse due mesi a inseguire in diretta streaming l’inafferrabile Grillo (non si vede per quale motivo Renzi dovrebbe avere miglior fortuna). Ecco spiegato come mai, dietro le quinte, Matteo non abbia rinunciato a far approvare una legge che lo salvi da questo doppio supplizio. Ed ecco perché insisterà sul sistema per metà maggioritario e per l’altra metà proporzionale che passa sotto il nome di «Verdinellum» (dal nome del suo ideatore, Denis Verdini).
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Ritorno al passato
Aspettiamoci una conta spietata in Senato, che rappresenta il passaggio più stretto della legge elettorale. Ma intanto il testo base, che verrà presentato martedì alla Camera dal relatore Andrea Mazziotti, e che doverosamente riassume il minimo comune denominatore delle mille discordie registrate fin qui, suona tutta un’altra musica: uno spartito al cento per cento proporzionale, con la foglia di fico del «premio» che verrebbe attribuito a chi scavalca il 40 per cento. Ci sarà qualcuno davvero in grado di superarlo?Al momento, nessuno. Né si vede in circolazione un leader capace di dare il colpo del kappaò. Dunque niente premio e zero maggioritario. Per il dopo-elezioni si annuncia uno scenario da Prima Repubblica: per formare un governo diventerà indispensabile stipulare alleanze che contraddicono i proclami della campagna elettorale. Quella numericamente più forte sarebbe tra Pd e M5S. Stando ai sondaggi, metterebbe insieme i due terzi del Parlamento. Con numeri parecchio più risicati, potrebbero formare una maggioranza pure Grillo e Salvini insieme, oppure Berlusconi e Renzi qualora il centrodestra si spaccasse a metà. Ma fino adesso i Cinquestelle hanno sempre escluso alleanze che li obbligherebbero a compromessi. Piuttosto, preferiscono restare fuori al freddo. Quindi l’unica alleanza considerata possibile, con un sistema tutto proporzionale, sarà tra Forza Italia e Pd. Resa inevitabile dalla spinta dei mercati, oltre che dal pressing degli aspiranti ministri e delle varie lobby. Impossibile resistere.
«No tu no»
Ma proprio come avveniva nella Prima Repubblica, molto difficilmente Sergio Mattarella potrà incaricare un leader di partito. La logica del compromesso finirà per imporre soluzioni meno controverse, figure in grado di farsi accettare da entrambi i partner. Sul tipo dell’attuale premier Gentiloni, del quale il Cav ha cantato le lodi. O tipo Dario Franceschini. Ma Renzi no, Silvio non gli darebbe mai il via libera. L’alleanza con Forza Italia, oltre a rendere i Cinquestelle l’unica forza in grado di cavalcare la protesta, farebbe del segretario Pd un azionista inquieto e perennemente insoddisfatto: il triste destino che nelle prossime settimane Renzi tenterà di evitare.
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