Un italiano su cinque paga per avere l’infermiere a domicilio
Quando l’assistenza domiciliare latita ci pensa l’infermiere. A pagamento. Come se non bastassero i 25 miliardi spesi in visite mediche e accertamenti per aggirare le liste d’attesa, 12,6 milioni di italiani hanno sborsato lo scorso anno altri 6 miliardi e 200 milioni per farsi assistere da un infermiere. E la metà di loro non ha potuto nemmeno contare sulla detrazione in denuncia dei redditi visto che anche qui il «nero» è una cattiva abitudine dura a morire. Magari perché così si risparmia. Meno comunque di quel ben più nutrito esercito di oltre 24 milioni di pazienti che una prestazione infermieristica l’hanno richiesta a chi infermiere non è. E così ecco badanti che armeggiano con cateteri, salvo poi vedere la fila di anziani con infezioni alle vie urinarie in pronto soccorso. O familiari e amici che si danno da fare con siringhe e flebo a tutto rischio di chi espone glutei e avambracci.
È un altro spaccato di una sanità pubblica oramai allo stremo, che cede sempre più terreno al privato quello mostrato dal Censis in un’indagine condotta per conto dell’Ipasvi, la federazione dei collegi infermieristici. Un mercato destinato a crescere nel tempo con l’aumentare dei malati cronici, che più dell’ospedale hanno bisogno di assistenza nel territorio. Mica facile quando per essere accolti in una Rsa, le residenze socio assistenziali pubbliche, occorrono anche anni di attesa, salvo poi sborsare rette oramai intorno ai due mila euro. A meno che non si possiedano pensioni d’oro o capitali tali da staccare assegni dai quattromila euro mensili in su per alloggiare in una casa di riposo privata.
Che quando costa poco rischia di rivelarsi un lager, come troppi arresti hanno dimostrato in questi anni. Per non parlare dell’assistenza domiciliare integrata, sconosciuta in buona parte d’Italia, soprattutto a Sud.
Però se sono quasi cinque milioni ad aver pagato un infermiere per avere assistenza prolungata nel tempo, quindi anziani non autosufficienti e malati cronici gravi, ci sono ben 7,8 milioni di assistiti che alla porta dell’infermiere privato hanno bussato per cose come un semplice prelievo, un’iniezione, una medicazione, piuttosto che per misurare la pressione. Tutte cose che si potrebbero fare tranquillamente nel pubblico. Se attese e trafile burocratiche non fossero tali da scoraggiare i più.
Così gli italiani pagano ma apprezzano. Tant’è che oltre la metà vorrebbe che lo Stato gli passasse anche l’infermiere di famiglia. Cosa che qualche Asl, come su La Stampa abbiamo documentato in una precedente inchiesta – in realtà fa già e con alti indici di gradimento.
La carica degli infermieri rischia però di fallire nell’opera di salvataggio del nostro traballante welfare per assenza di truppe. Tra blocchi prolungati nel tempo delle assunzioni e numero chiuso alle facoltà di scienze infermieristiche, secondo l’Ipasvi ne mancano già 50mila. Oggi in media ogni infermiere ha in carico dodici assistiti. Il numero ideale sarebbe sei. Da quota dieci in su, informa un recente studio pubblicato sul prestigioso British Medical Journal, il tasso di mortalità sale del 20%. Le soluzioni le spiega la presidente Ipasvi, Barbara Mangiacavalli: assumere part-time 10mila infermieri, stabilizzare i precari e favorire la mobilità. A trovare le risorse.
LA STAMPA