Legge elettorale, niente intesa Ma il Quirinale aspetta ancora
C’era un tempo felice nel quale l’Italicum era «la migliore legge elettorale del mondo».
Parola di Renzi. Oggi l’Italicum-bis fa schifo. Puzza di «neo-Porcellum» dicono Matteo e i suoi croupier al tavolo verde della legge elettorale.
L’altra sera si sono fatti in quattro per scongiurarlo, un attimo dopo che il capogruppo Rosato sembrava pronto a convergere su quello che era stato presentato come soluzione di compromesso e testo-base dal presidente di commissione Affari costituzionali, Mazziotti di Celso. Ci sono riusciti tirando fuori dal mazzo delle nove (dodici?) proposte del Pd una versione di Mattarellum corretto, che oggi si fa chiamare Verdinellum. Essendo notoriamente «figlio di NN», sappiamo che Italicum-bis nelle prossime settimane morirà e risorgerà chissà quante altre volte. Italicum-ter-quater-et cetera. Ma nella sua pasqua potrebbe trionfare come Italicum ad libitum, nel quale ognuno ne metterà a piacere, di emendamenti, liste bloccate, soglie (ma anche sogliole, perché no?) di sbarramento. Premi, doppi premi e punti e virgola.
Non è necessario praticare sforzi di fantasia, per capire che questa è vera «arte dei pazzi», come l’ha definita ieri il grillino Di Maio, per una volta battendo giusto la sua lingua. Lo stesso nell’appellarsi alla saggezza dell’unico che sarebbe capace di destreggiarsi nel caos della maggioranza, e che purtroppo non può: il presidente Mattarella. Dall’Uruguay dov’è in visita ufficiale, appena gli è stato chiesto un soffio vitale sull’intricata questione, ha sibilato: «Vi riferite alla legge elettorale uruguayana? Ne parliamo in Italia…». Facile a dirsi, meno a farsi, con la babele di lingue che trucca il gioco, e lo truccherà ancora fino al confronto in aula, previsto per il 29 maggio. Purtroppo da chi dà le carte, cioè il Pd, la cui inclinazione a barare ha dato a tutti l’alibi di fare altrettanto. Si riprenderà perciò martedì con una riunione di gruppo pd che deve decidere se far andare avanti il testo-base o no, bloccando di nuovo il cammino.
Non tutti gli interessi dichiarati dai leader sono di facile lettura. Prendiamo Renzi, che ieri, dopo aver tanto strepitato (e fatto strepitare) su un asse Forza Italia-M5S per il proporzionale puro che porterebbe giocoforza all’inciucio, ha (sper)giurato che la posizione del Pd mira soltanto a un «sistema che permetta la governabilità». Ma è chiaro che da soli non abbiamo i numeri, si è poi schermito. Peccato, però, che poco prima Silvio Berlusconi aveva suggerito l’unico modo per uscire dallo stallo e dal pericolo di una legge con la quale «nessuna forza in campo riuscirà a portare a casa il 40 per cento, con il rischio di fare i conti dopo, con larghe intese». Come? «Con il premio di coalizione». Soluzione che aprirebbe il vaso di Pandora delle alleanze a sinistra, e che perciò il Renzi iper-maggioritario vede come il diavolo in casa. Per ora.
Ma nel cammino parlamentare, lavorando sul testo-base (sempre che il Pd lo faccia passare) si potrebbero immaginare le condizioni per migliorare quel che adesso non piace. Entrambi gli schieramenti dicono di essere maggioranza: da un lato Pd, Lega, Ala, Svp e (pare) fittiani; dall’altro Forza Italia, M5S, centristi, sinistra. In commissione, il muro contro muro darebbe 24 contro 24. «Facciamo partire il testo-base e speriamo non si inneschi un gioco al massacro», la saggia proposta di Quagliariello. Ma chi è disposto a salire sul treno, se ancora non si sa chi sia il macchinista?
IL GIORNALE