Renzi insiste sul Mattarellum bis: “I 5 Stelle hanno paura dei collegi”

amedeo la mattina
roma

«Se ne accorgeranno quando tra pochi giorni si voterà in commissione se facciamo sul serio o stiamo giocando per far saltare il tavolo. Noi siamo persone serie e il Pd è unito». Matteo Renzi sfida tutti coloro che pensano che il suo sia un bluff. Che voglia utilizzare la proposta del Mattarellum bis per impedire un’intesa sulla legge elettorale e andare ad elezioni anticipate. In commissione Affari costituzionale i Democratici sono pronti ad affossare il nuovo Italicum tutto proporzionale, proposto dal relatore Andrea Mazziotti, che Renzi definisce «Cespugliellum» perché conviene ai piccoli partiti. «Conviene pure ai 5 Stelle – dice il dem Dario Parrini – che hanno paura di misurarsi nei collegi uninominali perché, a parte due o tre leader mediatici, sul territorio non hanno candidati credibili, radicati, preparati. Hanno una fifa matta».

 Renzi spera nei voti della Lega, dei deputati di Raffaele Fitto, di Denis Verdini e di un parte di Alleanza popolare (il partito di Alfano è diviso tra Maurizio Lupi favorevole al proporzionale e Angelino Alfano). Spera inoltre nella «coerenza» degli scissionisti di Mdp che avevano abbandonato il Pd proponendo quello che loro stessi avevano chiamato il Mattarellum 2.0. L’ex premier sa però di giocare sul filo del rasoio. Soprattutto è consapevole che al Senato non ha gli stessi numeri della Camera.

«Ma noi andremo fino in fondo, teniamo duro», poi vedremo come finirà. L’unica cosa che non potranno dire – sostiene Renzi – è che noi non ci abbiamo provato a dare al Paese un sistema elettorale che può garantire governabilità e impedire la palude degli accordi che si fanno dopo aver chiesto agli italiani il voto per altre coalizioni e altre maggioranze».

 

Del resto, spiega ancora il leader dem, «ci abbiamo provato con il referendum costituzionale a rendere più stabili ed efficienti le istituzioni ma gli italiani hanno detto di no. Ma più passa il tempo, più emergerà quanto è difficile ora fare una legge elettorale decente, e più sarà evidente a tutti l’occasione persa il 4 dicembre». E questa evidenza, è convinto, lo farà crescere nei consensi.

 

Sarà tutto da verificare se il Pd tornerà in vetta nei sondaggi e soprattutto nelle urne. Per lasciarsi dietro i 5 Stelle gli serviranno una serie di decisioni popolari del governo e mettere a segno alcuni provvedimenti in Parlamento come quello di Matteo Richetti sui vitalizi. Deve sgonfiare la polemica su Banca Etruria sollevata dall’ex direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli con il suo libro. «Un’operazione editoriale fatta a tavolino», spiegano dalle parti di Renzi. Avanti quindi con la commissione d’inchiesta sul sistema bancario perché «non abbiamo nulla da nascondere». E poi c’è il nervo scoperto della Consip. Il segretario del Pd vuole dimostrare definitivamente che si tratta di «un’enorme fake news pilotata dagli amici dei 5 Stelle, una delle tante falsità messe in giro e propalate a fini politici». Proprio su questo punto Renzi punta il dito sul Fatto quotidiano e sul giornalista Marco Lillo.

 

Da quanto emerge dall’inchiesta, fanno notare i renziani, è stato il giornalista del quotidiano di Marco Travaglio a informare Tiziano Renzi delle intercettazioni che lo riguardavano e non il figlio Matteo. E che l’ufficiale dei Carabinieri Giampaolo Scafarto avrebbe omesso di riportare nella sua informativa alcune circostanze. In particolare che nelle telefonate intercettate lo stesso Tiziano Renzi racconta di essere stato avvertito dell’inchiesta, condotta dal pm Woodcock, proprio da Marco Lillo. Ecco, sostengono i collaboratori di Renzi, un giornale e un giornalista sapevano che c’erano queste intercettazioni e un’inchiesta in corso a suo carico. «E ne hanno fatto una campagna giornalistica e politica a favore dei 5 Stelle, dicendo che il figliolo aveva avvertito il babbo».

 

Renzi alza il livello dello scontro contro i grillini e passa all’attacco sulla legge elettorale e sul terreno che i 5 Stelle ritengono gli faccia più male, quello bancario. Non è un caso che ieri a Torino Alessandro Di Battista abbia battuto su questo tasto. Ha detto che in Italia «c’è un problema di connivenza tra sistema bancario e sistema politico. Non è più democrazia ma bancocrazia».

LA STAMPA

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