Noi, i Paesi forti e l’occasione europea dell’Italia

Il rischio è di vendere la pelle dell’orso con eccessivo anticipo. La sconfitta di Marine Le Pen e la vittoria dell’europeista Macron in Francia segnalano solo uno scampato pericolo (avesse vinto Le Pen il colpo, per l’Unione, sarebbe stato fatale). Tutto qui. Per giunta, la vittoria di Macron, al momento, è solo parziale. Per sapere se potrà contare su una maggioranza, e di che tipo, bisognerà aspettare i risultati delle elezioni parlamentari di giugno. Solo allora capiremo se si tratterà di un presidente forte oppure debole, dimezzato.

Poniamo che Macron esca vincitore anche da quelle elezioni, che dia vita
a una presidenza forte, sostenuta da una coesa maggioranza parlamentare. Basterà perché egli possa ricostituire quell’asse franco-tedesco che fu un tempo il motore dell’Europa e il cui venir meno negli ultimi decenni è da molti considerato la principale causa della sua crisi? E, inoltre, è solo così che si potranno finalmente affrontare i suoi più gravi problemi?

È vero che l’asse franco-tedesco fu il vero governo dell’Europa per un lungo periodo e che il suo tramonto ha coinciso con l’inizio della crisi dell’Unione. Ma la difficoltà di ricostituire quell’asse è dovuta al fatto che le condizioni europee sono drasticamente cambiate. Negli anni passati si sono verificati due processi, apparentemente, contraddittori, di concentrazione e, contemporaneamente, di diffusione di potenza.

Il successo dell’unificazione tedesca ha concentrato potenza sulla Germania e ha reso il divario delle forze fra Germania e Francia molto grande. Contemporaneamente, l’allargamento dell’Unione ha diffuso potenza fra gli Stati europei. Un ipotetico nuovo asse franco-tedesco sarebbe molto squilibrato al suo interno (a favore della Germania) e meno autorevole e influente nei confronti del resto dell’Unione (a causa dell’allargamento e della risultante diffusione di potenza). In ogni caso, si tratterebbe di qualcosa di realmente nuovo, e non la riproposizione — come alcuni sembrano pensare — di una esperienza già vissuta. Certamente la Francia possiede degli atout importanti, il principale dei quali è rappresentato dal fatto che, dopo l’uscita della Gran Bretagna, si tratta della prima potenza militare d’Europa. Inoltre, per ragioni storiche, possiede una capacità di influenza, che manca alla Germania, su aree geografiche (Africa francofona) rilevanti per l’Europa. Ma ciò basterà per fare accettare all’opinione pubblica e, quindi, alla classe politica tedesche, un parziale ridimensionamento di quella posizione di assoluta supremazia entro l’Unione a cui entrambe si sono ormai assuefatte?

La soluzione può allora venire dall’Europa a più velocità, un nucleo centrale più integrato composto da chi ci sta e, a corona, i restanti membri dell’Unione? Sì e no. Per certi aspetti le cose si semplificherebbero ma per altri si complicherebbero. Si semplificherebbero perché ormai è chiaro che, con l’attuale assetto, non ci sono alternative alla paralisi decisionale. Un’Europa a più velocità aggirerebbe e neutralizzerebbe i poteri di veto che oggi la bloccano. Si porrebbe rimedio agli effetti negativi della diffusione di potenza. Ma le cose, contemporaneamente, si complicherebbero. Perché nel nucleo duro, centrale, la Germania concentrerebbe ancora più potere di oggi, le relazioni interne sarebbero ancora più squilibrate.

Per quanto alle orecchie di molti italiani questo possa apparire poco verosimile, proprio il nostro Paese, almeno in teoria, potrebbe essere chiamato a svolgere un ruolo di rilievo, potrebbe contribuire a superare l’impasse europeo. L’Italia potrebbe, e dovrebbe, essere un partner stabile per una Francia impegnata a bilanciare, almeno in parte, la potenza tedesca. Ciò, naturalmente, richiederebbe due condizioni. La prima è che l’Italia riesca a dare una soluzione minimamente decente ai propri attuali, gravi problemi di governabilità. La seconda è che abbia la possibilità di entrare a fare parte dell’eventuale nucleo duro dell’Unione. Le due condizioni sono fra loro connesse. Sono entrambe eventualità possibili anche se, al momento, nessuna delle due appare probabile.

Chi l’avrebbe mai detto che le circostanze avrebbero reso proprio l’ Italia decisiva al fine del rilancio del progetto europeo? Tale progetto dovrebbe in ogni caso essere ridefinito, reinterpretato. Occorre certamente puntare sulla sicurezza (è, del resto, ciò che chiedono i cittadini più attratti dalle sirene antieuropee). Ciò significa impostare sia una difesa comune che un effettivo controllo europeo delle frontiere. Ma significa anche rimediare ad errori passati: occorre attribuire all’Europa pochi compiti essenziali (solo quelli che gli Stati nazionali non possono più svolgere) mentre bisogna ri-nazionalizzare prerogative e poteri indebitamente trasferiti all’Unione nei decenni trascorsi. Sperando anche, naturalmente, che classe politica e opinione pubblica tedesche siano disposte in futuro a fare, sul governo dell’eurozona, qualche concessione ai partner. Rimettere in moto il motore imballato dell’Europa è una impresa assai complicata. Non è sufficiente l’elezione di un giovane e simpatico presidente francese.

CORRIERE.IT

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