Legge elettorale targata Renzi. Il segretario tenta il tutto per tutto
Matteo Renzi si lancia in una nuova avventurosa sfida: stavolta tenterà di convincere il Parlamento a votargli la legge elettorale che il Pd metterà oggi nero su bianco dopo aver fatto piazza pulita, ieri sera nella Commissione Affari costituzionali alla Camera, del testo base discusso fin qui. La proposta renziana è nota solo per sommi capi. Grillini e berlusconiani, che sono contrarissimi, l’hanno già spregiativamente battezzata «Verdinellum» (dal suo ideatore). Prevede che la metà dei deputati e dei senatori venga eletta in tanti piccoli collegi dove vince chi arriva primo, come accadeva fino al 2005 con il «Mattarellum». L’altra metà dei seggi verrebbe assegnata invece con un criterio rigidamente proporzionale, a patto di superare il 5 per cento. Quando verrà tolto il velo dalla proposta, scopriremo dell’altro. Per esempio, se nella quota proporzionale ci saranno le preferenze, o invece si tornerà (come nel «Porcellum») alle liste dei «nominati»: per quanto sembrino dettagli, si tratta di decisioni che possono cambiare il costume politico. Scopriremo pure se sarà possibile raccogliere le firme delle liste e dei candidati per via telematica, come desiderano i Radicali Italiani, e pure questo conta perché sarebbe un grande incentivo ai referendum e alle leggi di iniziativa popolare.
A spingere avanti la riforma Pd potrà essere forse lo stesso presidente della Commissione, Mazziotti, che nei giorni scorsi aveva cercato la sintesi su un’altra proposta, gradita a M5S, a Forza Italia, ai bersaniani e ai centristi di Alfano: il «Legalicum», vale a dire la semplice e rapida trasposizione al Senato del testo in vigore alla Camera, in modo da creare armonia tra i due sistemi.
Dopo il «no» renziano e di Ala, formalizzato in serata, Mazziotti ha ritirato il testo base. Era pure lì lì per dimettersi da relatore; però grillini e forzisti hanno insistito perché restasse lui, figura indipendente, a guidare le danze. Mazziotti si è preso la notte per riflettere; se rinuncerà, già scalpita Fiano (Pd). Tra 12 giorni il nuovo testo verrà votato in aula, e Renzi teme che i piccoli partiti vogliano far saltare quell’appuntamento ritardando la discussione con ogni mezzuccio.
Scissione dell’atomo
Ma il vero grande ostacolo sarà il Senato, dove i numeri sono ballerini. Sulla carta il Pd potrebbe farcela, perché la somma delle sigle favorevoli (Pd, Ala, Lega Nord, Svp, fittiani) fa 148 voti, non lontano dalla maggioranza assoluta a quota 161. Ma sono calcoli tutti teorici perché, per sapere se il «Verdinellum» potrà farcela, servirebbe la consulenza di fisici nucleari, gente esperta di scissione dell’atomo: nel grande «suk» di Palazzo Madama ognuno guarda ormai soltanto al proprio «particulare». Ed è scontato che, prima di dare il voto, molti senatori pretenderanno da Renzi garanzie di essere rieletti. Se non le avranno, parecchi potenziali supporter si sfileranno lungo la via. Ecco dunque la grande difficoltà dell’impresa. Eppure Renzi non sembra troppo in allarme, e a ragione. Comunque vada a finire in Senato, ne ricaverà vantaggi, sarà comunque un «win or win». Se la legge elettorale andrà in porto, voteremo con un sistema che danneggia gli avversari del Pd. Se verrà bocciata, lui potrà sostenere di aver fatto il possibile per evitare il proporzionale con tutti gli «inciuci» che dopo le elezioni ne deriveranno. E a quel punto non saranno stati colpa sua.
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