Nuova bufera su Trump: «Ordinò all’Fbi di insabbiare il Russiagate»

Le pressioni di Donald Trump e le carte di James Comey. I due si videro il 14 febbraio, giorno di San Valentino. Ma il direttore dell’Fbi uscì con una sensazione di rischio da quell’incontro, come annotò nei suoi appunti personali: «Il presidente mi ha chiesto di lasciare cadere le indagini su Michael Flynn», il consigliere per la sicurezza nazionale, che si era dimesso il giorno prima. Il Federal Bureau aveva aperto un’inchiesta, ancora in corso, sui contatti tra Flynn e personaggi collegati al Cremlino, prima e dopo la vittoria elettorale di Trump. «Lo lasci andare, è una brava persona», si legge nel memo di Comey, secondo la ricostruzione pubblicata dal New York Times. «Sì è una brava persona», convenne il super poliziotto, ma non disse nulla sulle indagini. La Casa Bianca ha diffuso una nota per smentire la versione del quotidiano americano: «Il presidente ha ripetutamente affermato che il generale Flynn è un uomo perbene…, ma non ha mai chiesto al signor Comey o a chiunque altro di chiudere le indagini, comprese quelle che riguardano Flynn. Il presidente ha il massimo rispetto per i nostri organismi investigativi». Il “memo” di Comey ha chiuso un’altra giornata convulsa a Washington, sempre nel segno della Russia. Di prima mattina tiene banco la polemica sulle informazioni riservate rivelate da Trump al ministro degli Esteri Sergei Lavrov e all’ambasciatore russo a Washington, Sergei Kislyak, lo scorso 10 maggio. The Donald sterza bruscamente su Twitter, mandando all’aria le carte preparate dal suo staff e la versione diffusa l’altra sera dal consigliere per la sicurezza nazionale, il generale Herbert Raymond McMaster. «Nella mia qualità di presidente ho voluto condividere con la Russia, come ho assoluto diritto di fare, informazioni riguardanti il terrorismo, l’Isis e la sicurezza dei voli. L’ho fatto per ragioni umanitarie e inoltre perché voglio che la Russia aumenti il suo impegno contro l’Isis e il terrorismo».

Più tardi ricompare McMaster: nel briefing con i giornalisti ricorda che lui c’era durante il colloquio nello Studio Ovale e ha ripetuto nove volte: «Quei colloqui sono stati del tutto appropriati». Ma queste rassicurazioni non sono bastate per smorzare le inquietudini all’estero. Secondo il New York Times la fonte delle informazioni condivise da Trump con i russi è Israele. L’allarme cresce anche nell’Unione europea. Ufficialmente le fonti della Commissione cercano di circoscrivere l’accaduto, in attesa di acquisire altri elementi. Ma l’Associated Press, scrive che «un alto funzionario di un servizio segreto europeo» ha riferito, a patto di mantenere l’anonimato, che il suo Paese potrebbe smettere di scambiare notizie con gli Stati Uniti, «perché potrebbe essere pericoloso per i nostri informatori». Il tema sarà esaminato oggi in un incontro già programmato a Bruxelles tra la Commissione europea ed Elaine Duke, vice del dipartimento della sicurezza nazionale americana. Sul piano interno, tutti si aspettavano una reazione effervescente del Congresso.

Invece, dopo la mattinata spesa nei corridoi del Senato, sul taccuino restando soprattutto due concetti: prudenza, attesa. Persino il senatore repubblicano John MacCain, il critico più costante di Trump, prende tempo: «Dobbiamo capire bene che tipo di informazioni il presidente abbia condiviso con i governanti russi». Gran parte dei parlamentari esita perché il Consigliere per la sicurezza, il generale McMaster, figura rispettata anche da molti democratici, si è frapposto come scudo politico di Trump.

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