I guardiani del confine

Centinaia di civili in abiti militari si mimetizzano nelle foreste della Bulgaria per impedire ingressi illegali dalla Turchia: sono i guardiani del confine. Dopo la barriera di filo spinato e cemento costruito nel 2013, alle autorità di frontiera e agli agenti di Frontex, si sono aggiunti quindi i volontari dell’Unione Militare dei Veterani Bulgari “Vasil Levski” e il movimento nazionale “Shipka”. Si muovono silenziosamente, sono ben allenati, comunicano con walkie talkie e richiami per uccelli nella fitta vegetazione della montagna Strandja, in un fazzoletto di terra sospeso tra Est e Ovest, davanti al Mar Nero. Al loro comando c’è Vladimir Ruscev, ex ufficiale dell’esercito bulgaro in pensione. Il suo movimento ha 800 volontari effettivi e migliaia di sostenitori. Da quattro anni si autofinanziano e a turno con gruppi di 30-40 persone, pattugliano parte dei 230 km di confine con la Turchia.

Identikit del volontario

Nelle loro fila ci sono veterani, studenti, muratori. Possono contare anche su alcune donne, un fioraio, il capo istruttore militare che d’estate fa il bagnino. L’avvocato Lachezar e Kemal, un panettiere di fede musulmana. Poi tanti altri che non vogliono assolutamente rivelare luogo di provenienza, nome e professione. Per questo quasi tutti indossano un passamontagna: affermano che l’Isis ha messo una taglia sulle loro teste. E temono anche il governo nazionale, che finora non ha preso alcun provvedimento contro di loro, ma nell’immaginario collettivo rappresenta comunque il covo di corruzione, complotti e ingerenze straniere.

Oltre che uno dei vari responsabili del declino del sogno europeo, dopo 10 anni dall’ingresso nell’Ue caratterizzati da povertà e disoccupazione. I volontari ci tengono a prendere le distanze dai gruppi di estrema destra, si considerano dei partigiani. Non vogliono essere etichettati come cacciatori di migranti, dicono di voler difendere solo la frontiera dove la mafia gestisce traffico di esseri umani, droga e armi. In realtà vogliono bloccare chiunque si trovi nelle foreste, in nome del Codice criminale che vieta l’ingresso in Bulgaria “al di fuori delle aree designate”. Molte organizzazioni non governative dichiarano che il loro movimento si muove ai margini della legalità, poiché girano mascherati, armati di coltelli e di altri oggetti contundenti. Finora le segnalazioni di violenze subite da rifugiati sono state imputate alle autorità di frontiera, e anche ad Harmanli, il campo profughi che ospita circa 3000 rifugiati, nessuno ha mai denunciato soprusi da parte degli incappucciati nelle foreste. “Quando li troviamo chiamiamo la polizia. Difendere il Paese deve essere un dovere – dichiara il Comandante Vladimir Ruscev citando l’art. 59 della Costituzione – e una questione di onore per ogni cittadino bulgaro”.

Ai margini dell’Europa

Un movimento eterogeneo che sfugge alle definizioni e che risulta composito, ibrido e liminale. Borderline, appunto. Come la cultura identitaria bulgara, definita negli studi di Jordan Ljuckanov, dell’Institute of Literature, Bulgarian Academy of Sciences. Non solo un dualismo Est-Ovest, Europa-Oriente. Ma un confine invisibile che per i patriottici bulgari rappresenta l’ultimo bastione da difendere contro l’islamizzazione della Bulgaria e dell’Europa. Paure e risentimenti che affondano le proprie radici nei 500 anni di dominazione ottomana e in quasi 50 di dittatura sovietica.

Non è un caso che il nome dei due movimenti si intitoli a “Vasil Levski” e “Shipka”. Levksi è un eroe nazionale e un rivoluzionario amato da tutti i bulgari, conosciuto come l’apostolo della libertà. Venne impiccato a Sofia dagli Ottomani nel 1873. “Shipka” richiama invece la città simbolo della vittoria bulgaro-russa sugli Ottomani. La storia è un cerchio nei Balcani, dove le problematiche odierne si mischiano agli eventi del passato, spesso appropriandosi del presente. A Yasna Polyana e nei pressi del camping Nestinarka, di fronte al Mar Nero, si alternano le ricerche nelle foreste e gli allenamenti.

La paura dell’invasione

“Questo è il luogo in cui ogni giorno entrano migliaia di migranti economici – afferma Vladimir Rusev -. Non sono rifugiati che scappano dalla guerra in Siria, ma islamici radicalizzati tra i quali si nascondono anche i combattenti dell’Isis”. Gli fa eco un 31enne di Burgas: “Ho deciso di unirmi a loro perché il governo non vuole proteggerci. Nessuno ci difenderà e
quindi lo facciamo da soli. Si tratta di un’invasione pianificata. Quelli che attraversano illegalmente il confine sono dei soldati, non semplici migranti”. Negli ultimi anni circa 800 mila richiedenti asilo sono passati per la Bulgaria per arrivare nel cuore dell’Europa, 13.000 sono ancora lì.

Oggetti personali e vestiti trovati nelle foreste vengono rimossi dai volontari, per pulire l’ambiente, ma anche per non lasciare tracce da seguire a chi passerà di lì in futuro. Nell’incognita di un confine diviso tra accoglienza e respingimento, umanità e propaganda. Il primo ostacolo da varcare per chi spera di mettersi in salvo nella “fortezza Europa”.

Gli occhi della guerraIL GIORNALE

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